Una vita in cantiere

Antonio è un nome di fantasia, ma non il racconto. In occasione dei festeggiamenti dei cinquanta anni della Cassa Mutua Edile e della Scuola Edile è stato tra i lavoratori premiati per la sua lunga “militanza” nel settore. Da qualche anno  è in pensione, dopo quaranta anni di lavoro, ma continua a fare il gruista (manovra cioè le gru).

 Originario di un comune della provincia di Ascoli Piceno, arriva a San Mauro (dove c’è una colonia di marchigiani) alla fine degli anni sessanta. Comincia a lavorare in una cooperativa agricola, poi passa all’edilizia, con una impresa del posto messa su da un altro marchigiano arrivato qualche tempo prima.  Nell’impresa, che nei momenti buoni era arrivata ad avere 20-30 dipendenti, lavorano in prevalenza marchigiani, molti dei quali si conoscevano già, quasi tutti ex contadini. All’epoca, primi anni settanta, andavano forte gli alberghi e se ne costruivano tanti, a Bellaria, San Mauro Mare, fino a Marina di Ravenna.

 In quel tempo l’impresa di costruzioni era veramente tale, cioè costruiva un immobile dalle fondamenta al tetto. Tutto veniva fatto all’interno e l’impresa contava con le maggiori figure professionali: il manovale che preparava la calce, il muratore che tirava su le pareti, il carpentiere che preparava il legno,  il ferraiolo che piegava i ferri, ecc.

“Lavorando anche il sabato, ci dice Antonio,  si arrivava a guadagnare 100-120 mila lire. Forse più che in fabbrica. Non tutto andava sempre in busta. Oppure se ci andavano, per esempio i contributi, le famose “marchette”,  non voleva dire che poi venissero effettivamente versate all’Inps”.

 E questa cosa non andava tanto giù ad uno come Antonio, che per la difesa dei diritti di chi lavora si è sempre battuto con vigore. Si avvicina al sindacato e porta avanti le sue battaglie. Dopo la prima esperienza in una impresa privata, passa da una cooperativa all’altra  fino alla pensione. Nelle coop, continua,  “c’è maggiore rispetto per i diritti”.

 Ma quando le imprese di costruzione, comprese le cooperative, cominciano a dare lavoro fuori, ad utilizzare cioè squadre esterne ?  “Verso la metà degli anni settanta, le imprese private lo facevano già, cominciarono anche le cooperative. Si partì con la carpenteria, poi si passò alla preparazione del ferro, quindi i pavimenti, i muri esterni, il montaggio degli infissi e così via.  Al punto,  è la situazione attuale, che le imprese di costruzione, fatto e approvato il progetto,  sono ridotte a  mere distributrici di sub appalti. Affidati a gruppi di lavoratori esterni, in prevalenza immigrati e persone che vengono dal Sud, spesso non in regola.  Infatti basta che qualche ispettore si avvicini, senza preavviso, ad un cantiere per vedere gente scappare, perché così gli hanno detto di fare. Anche il lavoro del sindacato è difficile. Un sindacalista che conosco è stato minacciato e sono andati a trovarlo perfino a casa, dicendogli di farsi i fatti suoi se voleva evitare guai peggiori.

Nei nostri cantieri succedono cose cui è difficile credere: un tempo, qualche anno fa,  mentre  stavamo lavorando in alcune costruzioni al lato della nuova Fiera di Rimini, al ritorno da una pausa pranzo troviamo a terra, nel cantiere, un cadavere. Non lavorava con noi, e qualcuno ce l’aveva portato. In pieno giorno. So di ragazzi del Sud, delle Puglie, che si sono fatti male sul lavoro, ma invece di essere portati all’ospedale sono stati messi su un’auto e riaccompagnati al paese d’origine. Dove magari diranno che si sono “fatti male” da soli.

I controlli andrebbero fatti anche il sabato e la domenica. E gli Ispettori del lavoro (che con l’ultimo Governo sono diminuiti) non devono avvisare prima quando vanno sui cantieri. Perché a me è capitato che il capo cantiere mi abbia detto: oggi fatti trovare in ordine, con casco e scarponi, perché abbiamo un’ispezione. Come faceva a saperlo se non fosse stato avvisato ?

 In questa situazione di irregolarità diffusa, spesso le imprese non pagano, e chi magari è irregolare ha difficoltà a far valere i propri diritti. Una volta ho accompagnato a casa un immigrato, che lavorava in un cantiere a Pesaro e non parlava nemmeno italiano.

 Persistendo questa situazione, se non viene cioè combattuta con determinazione, si arriva a situazioni veramente paradossali: il mio attuale datore di lavoro mi ha detto che se pretendesse da tutti il rispetto delle regole, a cominciare dalle norme sulla sicurezza, probabilmente non troverebbe più una squadra disposta a lavorare per la sua impresa”.  

 Se la situazione è arrivata a questo punto, forse è il caso di cominciare a preoccuparsi. Ci vogliono più controlli, quindi più controllori, se è il caso anche chiedendo aiuto alle Forze dell’Ordine.