Una notte in cerca di una casa

di Angela De Rubeis

Pensavo di  essere in anticipo ma quando arrivo in stazione c’è già una piccola  folla che aspetta. A Rimini, il clima è decisamente fresco e due  ragazzi con indosso la pettorina “Stazione sicura” si intrattengono  con una decina di senza dimora. Uomini e donne che aspettano cosa  fare. Dal primo marzo 2010, un progetto ministeriale coinvolge Caritas  diocesana, Associazione Papa Giovanni XXIII e Comune di Rimini in un  presidio serale della stazione. Tutti i giorni, dalle 19.00 a  mezzanotte 3 persone (1 operatore e due volontari) aspettano che chi  ha bisogno di un posto dove andare a dormire vada da loro per farsi  accompagnare in Caritas oppure alla Capanna di Betlemme, struttura di  accoglienza dell’associazione che fu di don Oreste Benzi. È questa una costola del progetto più ampio voluto da Ferrovie dello Stato, in  collaborazione con le realtà appena citate, che ha portato alla nascita di un Help Center al binario 1. All’apertura, in una nota  ufficiale Ferrovie dello Stato spiegava le motivazioni della scelta di  “Stazione Sicura” – e anche dell’attivazione di un numero verde (800 912236) per le segnalazioni, da parte dei cittadini, di persone disagiate – sottolineando che: “L’obiettivo è quello di affrontare in maniera coordinata il disagio sociale presente in quella  zona della città. In questo modo la stazione diventerà più vivibile e  sicura e ai passeggeri sarà offerto un servizio migliore, mentre le  persone disagiate potranno accedere a percorsi di reinclusione sociale attraverso la rete di servizi sociali e accoglienza della città”.
In Stazione, cerco il mio contatto e quelle poche domande anche se innocue fanno curiosità tra i presenti. Fuori da ogni pietismo, e dalla banalizzazione del disagio, in giro trovo quello che mi aspettavo. Storie che si assomigliano un po’ tutte, tristemente. C’è  il quarantenne che ha perso il lavoro e non ha più una casa. C’è il  migrante che non ha il permesso di soggiorno, il ragazzo giovane che  ha un lavoro in nero ma non si può permettere di pagare un posto dove  andare a dormire.
“Quest’ultimi in particolare sono sempre di più – racconta Nicolò, operatore di Stazione Sicura. Un fenomeno del  quale ci siamo accorti soprattutto in estate quando molti ragazzi vengono da fuori tentando di lavorare nel corso della stagione estiva.
Qualcuno ci riesce e appena finito va via. Qualcuno non ci riesce. Qualcuno rimane per strada. Qualcuno trova un lavoretto in nero”.  Nicolò mi spiega che dalle 19.00 alle 20.30 ascoltano ma soprattutto  smistano le persone che li aspettano. Quella cosa che appena dieci  minuti fa mi appariva strana, quel capannello di gente che aspettava  oramai è consuetudine, mi dice. “Non siamo noi a fare il giro in stazione per cercare chi dorme tra i binari o nelle sale di attesa.  Sono loro che oramai ci conoscono e ci aspettano”, racconta uno dei due ragazzi volontari.
Ma non tutti riescono ad essere sistemati per la notte, i posti a disposizione – per 9 uomini e 3 donne nell’ambito del progetto e per  una decina di uomini aggiuntivi alla Capanna – non bastano per tutti.
“Anche perché – continua Nicolò – non sempre ho a disposizione tutti quei posti. Stasera per esempio posso prendere un uomo e due donne”. Infatti chi viene assistito in stazione può rimanere nelle strutture di accoglienza più di una notte. “Possono rimanere da uno a 7 giorni. Poi ci sono i casi speciali, quando in Caritas si rendono conto che su una persona  può essere fatto un lavoro di recupero, allora la permanenza diventa più lunga”, in stile Caritas.
L’unico requisito per entrare in lizza è quello di non bere e non drogarsi. “Qualche volta è successo. Ma noi facciamo molta attenzione”, racconta Nicolò accennando un sorriso.
“Una volta mi è anche capitato di essere strattonato. Ma si trattava di due ragazzi ubriachi. La cosa si è risolta subito”.
Dopo le 20.30, a pulmino partito, si rimane sino a mezzanotte ad ascoltare chi è rimasto. Ed è qui che vengono fuori le storie, ma più di ogni altro viene fuori un clima di vicinanza. Si conoscono tutti  per nome. Si salutano e si avvicinano l’un l’altro. Io vado via, in molti questa sera non sono riusciti a trovare un tetto. Alcuni  rimangono lì, alcuni vanno via facendo spallucce. “Ci si riprova domani. Tanto i ragazzi sono sempre qui” e un giovane ragazzo mi saluta con la mano.

STORIA
La strada è un trauma”. È questa la prima cosa  che racconta Giorgio, 41 anni di Vimercate (Milano) alla sua prima
esperienza da senza dimora.  La storia di una vita “normale”. Un lungo matrimonio, una figlia di 21 anni, una casa acquistata a 18 anni, un lavoro da quando, di anni, ne aveva 15. Poi qualcosa ha rotto l’equilibrio. La separazione dalla
moglie, l’abbandono della casa, la crisi economica, l’impossibilità di  trovare un lavoro nei dintorni e la scelta di venire verso Rimini dove  due amici gli avevano trovato un lavoretto.
Giorgio, cosa è successo. Come ti sei ritrovato in questa  situazione?   “Ho lavorato per 5 mesi. Guidavo i camion degli spurghi. Poi la ditta  non ha più avuto lavoro e io ero l’ultimo arrivato quindi il primo a  saltare. Addirittura mi devono essere pagati gli ultimi due stipendi”.  E sei finito subito per strada?  “Sì. Oramai sono due mesi e mezzo che sono in strada. Purtroppo sono stato colto alla sprovvista. Non pensavo che avrei perso il lavoro altrimenti avrei messo qualche soldo da parte. Mandavo i soldi a mia figlia che frequenta l’Università così non ho potuto contare su nessun risparmio”.
Era la tua prima volta, cosa puoi raccontarmi della prima notte passata senza un tetto sopra la testa? “È indescrivibile. Io avevo sempre avuto una vita normale e adesso mi ritrovavo in una situazione per me inconcepibile. Vedi una realtà
diversa, conosci delle difficoltà che non pensavo potessero esistere.   Io ho dormito in stazione e al parco. Al parco mi sono anche lavato  perché in Caritas si poteva andare una sola volta a settimana. Scelta che mi lascia un po’ perplesso…Comunque rimango nelle regole. La  prima notte è stata un incubo ma io non mi sono mai lasciato abbattere
e per farlo ho pensato che questa fosse una fase”.  È stata una fase?  “Oramai sono due mesi e mezzo. Devo dire che per un po’ ho perso il mio proverbiale ottimismo. Per due settimane mi sono messo a bere. Mi sono fatto trascinare da cattive compagnie. Per strada l’alcool è un problema gravissimo”.
E adesso?  “Adesso sono in Capanna di Betlemme. Sono venuto qui in stazione e i ragazzi mi hanno portato lassù. Ma il 10 novembre devo andare via e poi non so cosa farò. Una cosa la posso dire. Non mi arrendo, cerco un lavoro. Non ho mai chiesto l’elemosina. Vado a mangiare in Caritas e  mi arrangio come posso. Ma voglio tornare ad essere una persona.