Un “velo” di vergogna

Il fatto

 Il giorno 8 marzo (giorno della donna !) ad una giovane studentessa  riminese di 17 anni,  di religione musulmana e che frequenta il terzo anno dell’Istituto professionale alberghiero “Malatesta”,  l’hotel Sporting di Rimini, quattro stelle,  ha rifiutato lo stage (gratuito) perché si è presentata con i capelli raccolti in un velo. Le motivazioni del Direttore dell’hotel, già vice-direttore del Grand Hotel: “Qui il razzismo non c’entra….L’unica richiesta che facciamo alle scuole è di adeguarsi alle semplici regole di comportamento, che riguardano anche l’aspetto e l’immagine”. Aggiungendo che “questa azienda segue criteri internazionali di ospitalità..”.

 Le reazioni

 Alberto Ravaioli, Sindaco di Rimini: “ Una esclusione immotivata. La ragazza porta un velo sui capelli, come le suore, e allora ? Discriminiamo anche le suore ?”

Alessandro Cavuoti, Presidente del Forum Associazioni islamiche: “A Londra o a New York non sarebbe potuto accadere. Spero non sia stato una forma di provincialismo”.

Meris Soldati, Assessore provinciale alla scuola, alla formazione e al lavoro: “La questione poteva essere risolta in modo diverso se il Preside avesse parlato del problema con i soggetti coinvolti, invece di scatenare il caso e strumentalizzare anche la ragazza”.

Patrizia Rinaldis, Presidente dell’AIA (Associazione Italiana Albergatori): “Le strutture alberghiere hanno delle regole che vanno rispettate. Non è stata una discriminazione. …La questione poteva essere superata, bastava interpellare la nostra Associazione, mentre ci sembra che la cosa sia stata strumentalizzata. Una soluzione sarebbe stata trovata e la troveremo”.

Sindacati.  CGIL: “E’ una vicenda disdicevole”.  CISL: “Le scelte religiose vanno rispettate”. UIL: “Un caso gestito male, ma non condanno l’hotel. E’ legittimo che un’azienda abbia delle regole da far rispettare”.

Teo Lima, Direttore dell’hotel Mercure Artis, poco distante dallo Sporting: “Mandatela da noi, l’accoglieremo volentieri…Ci siamo interessati al caso perché al giorno d’oggi il velo non può mai essere un fattore discriminante. Nella nostra catena, La Mercure, che è internazionale, soltanto in Italia da lavoro a persone di 84 nazionalità diverse”. Negli standard della Mercure portare il velo è consentito ? “Assolutamente si….la diversità è una ricchezza”.

 Le considerazioni

 Non sappiamo se l’ex direttore del Grand Hotel di Rimini, oggi direttore dell’hotel in questione, abbia mai visto il film Amarcord di Fellini. Perché li si vedono sceicchi entrare in hotel con stuoli di donne velate, solo con una fessura per gli occhi. L’Hotel li accoglieva senza problemi, ben felice, immaginiamo, per i conti che pagavano. La ragazza portava solo un fazzoletto, come le suore, dice il Sindaco, ma anche come le nostre nonne quando si recavano in chiesa. Nel sud, in tanti paesini, le nonne vestono ancora così, col fazzoletto in testa, nero quando sono in lutto.

Una domanda al direttore della nostra storia: se oggi si presentasse qualche facoltoso signor “petrolio” con il suo harem femminile ben coperto, lo rifiuterebbe in  nome degli standard, in verità poco internazionali, dell’hotel ?   Perché se così non fosse, allora è solo una questione di soldi.

 Probabilmente, anzi è sicuro, il razzismo e la volontà di discriminare una ragazza italiana diciassettenne diversamente vestita, non c’entrano, ma che il tutto contenga una buona dose di provincialismo e stupidità, questo senz’altro. 

 Dopo l’estate scorsa, quando Rimini è salita agli altari della cronaca nazionale per qualche hotel che non pagava i suoi lavoratori,  tornarci di nuovo (ne ha scritto il Corriere della Sera del 9/3/2011) per aver rifiutato lo stage ad una ragazza, che si sta preparando a lavorare nel settore, non è proprio un buon servizio reso al turismo riminese.  Forse l’Associazione di categoria, invece di giustificare,  dovrebbe istruire meglio i suoi soci, insegnandogli soprattutto a valutare bene non solo le conseguenze di certi comportamenti per i loro alberghi, ma per l’intera economia turistica. Perché il danno di immagine non è selettivo e rischia di pesare su tutti.

One thought on “Un “velo” di vergogna

  1. Questa storia ha dell’incredibile, non ne ero al corrente a dire la verità, non l’ho trovata nella cronaca locale.

    Il mio punto di vista è che questa mentalità da contadino-provincialotto di certo non si addice alla figura di un direttore…

    Ahime povero settore turistico, come hai scritto, stendiamo un velo pietoso e basta…

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