Un tavolo per rilanciare lo sviluppo locale

C’è qualcuno che può veramente pensare che una impresa estera  prima di decidere se investire in Italia, quindi anche a Rimini, guarda di più alle sfumature di un articolo che regola un aspetto del mercato del lavoro piuttosto che il Rapporto Doing Business (Fare Affari) della Banca Mondiale dove il nostro Paese figura, nel 2012, all’87o posto, quattro posizioni più in basso di un anno prima, preceduto perfino da paesi come la Mongolia e lo Zambia ?  Per rimanere in tema, nello stesso rapporto, la Germania  è al 19° posto e gli Stati Uniti al 4°, mentre la prima posizione è saldamente detenuta da Singapore.

La posizione, in questa graduatoria speciale, riflette la facilità con cui, in un paese, è possibile avviare una impresa, ottenere le autorizzazioni, risolvere una controversia legale, avere un chiarimento sull’interpretazione di una norma, ricevere incentivi per la ricerca, non dover confrontarsi con la criminalità ela corruzione.  Insintesi, svolgere una attività  in un ambiente favorevole, che non vuol dire senza regole, ma con regole semplici, certe e comprensibili. Alcune aziende lasciano l’Italia e vanno in paesi dove il lavoro costa molto di più (ultimamente lo hanno fatto Motorola, Nokia e diverse aziende farmaceutiche) proprio perché manca questo clima di accoglienza “amichevole”.

Per fortuna ci sono anche aziende, come di recente ha fatto Ikea, che invece abbandona i fornitori asiatici e sceglie un gruppo di aziende italiane del nord perché “sanno produrre articoli di migliore qualità a prezzi più bassi.. e l’art.18 non è un problema”.

Anche in provincia di Rimini ci sono tante aziende di qualità, magari piccole ma capaci di competere con le migliori imprese straniere. Però tutte pongono gli stessi problemi che frenano quelle estere: tempi  per attenere l’autorizzazione a costruire un capannone o ampliarlo troppo lunghi e soprattutto incerti (ricordiamo il caso di un’azienda locale  che potrebbe dare lavoro ad un centinaio di persone, oggi ne ha quindici,  ma non può farlo per mancanza di spazio ed è costretta a portare la produzione all’estero), infrastrutture e servizi insufficienti (molte aree industriali provinciali sono ancora prive della  banda larga e non si sa chi se ne dovrebbe fare carico), mobilità lasciata a se stessa, burocrazia inutilmente complicata e costosa, ancora prima di produrre valore,  per chi vuole avviare una attività (in questo senso gli sportelli unici sono stati un completo fallimento), banche che non solo non danno credito alle imprese esistenti, ma sono totalmente assenti nel sostenere le nuove imprese, soprattutto se avviate da giovani e donne.

In questa situazione,  se anche i nostri imprenditori mostrano riserve, non aspettiamoci che da fuori facciano la fila per venire ad investire.  Anzi, siamo all’assurdo che se un non comunitario volesse comprare un albergo a Rimini, investendo qualche milione di euro, deve prima trovare una soluzione, non facile, al permesso di soggiorno, altrimenti può venire solo come turista.

Di questi problemi pare non se ne faccia carico nessuno, oppure ciascuno si limita a mettere il suo timbro e di riscuotere la sua gabella, senza un luogo dove sia possibile formalizzare  una visione d’insieme.  Ma così non può continuare, perché l’assenza di lavoro e l’allargarsi delle aree di nuove povertà non può più restare senza una risposta e una progettualità capace di  ridare opportunità e speranza.

Per questo crediamo sia utile convocare un tavolo di lavoro, che potrebbe essere proposto dalla Provincia o dal Comune Capoluogo, ma anche dalla Camera di Commercio, capace di ricomporre i tanti tasselli che sono necessari per rilanciare lo sviluppo e “far tornare la gente a lavorare”.