Superchirurgo in America, non idoneo a Rimini ?

Questa notizia l’ho appresa da Marco Valeriani e verificata su  Il Fatto Quotidiano dell’8 gennaio 2011.  Se le cose fossero andate come raccontato sarebbe piuttosto  preoccupante. Vuol dire che il “merito” non è un requisito spendibile  nemmeno da queste parti. Piuttosto desolante.

L’articolo: 

Gregorio Maldini ha effettuato il primo trapianto pediatrico di intestino mai eseguito in Italia. Ma ha preferito emigrare negli Stati Uniti, per lavorare in un ospedale delle Hawaii: “Qui eseguo oltre 600 interventi l’anno, quando a Bergamo ne facevo meno di cento e alle 14 le sale operatorie erano già chiuse”

 Non tornerà indietro. Lui è un cervello felicemente in fuga, soddisfatto di essersi trasferito a Honolulu, il “posto più bello del mondo”. E con uno stipendio da favola. Gregorio Maldini, nato a Roma 45 anni fa, lavora come chirurgo negli Usa, alle Hawaii. “Sono uno dei pochi che è tornato in Italia due volte”, ed entrambe le volte non è andata bene: così è sempre ripartito. Cervello in fuga? “No, il pazzo è chi resta in un Paese che affonda”, sostiene.

Che prima o poi avrebbe lasciato l’Italia, Maldini lo intuisce già da specializzando in Chirurgia generale all’università La Sapienza di Roma, “uno dei posti più corrotti del mondo”, dove “molti miei colleghi avevano capito che l’unica via per il successo è la raccomandazione e l’asservimento al barone di turno”. Lui invece decide di puntare altrove: “Ho studiato per fare l’Usmle, l’esame di abilitazione alla professione medica negli Usa e, appena ho finito a Roma quindici anni fa, sono partito per una residency (specialità, ndr) in Chirurgia generale all’università delle Hawaii”. Lavora come un matto, per cinque anni anche 120 ore a settimana, e fa esperienza in oltre duemila interventi chirurgici. “Durante i quattro mesi di rotazione in terapia intensiva – spiega – lavoravo tutti i giorni, inclusi sabati e domeniche, Natale e Capodanno. Iniziavo alle 4 del mattino e finivo la sera tardi. Una notte ogni tre ero di guardia”. Il duro lavoro però viene ripagato bene e così anche il merito: “La selezione è stata dura. Eravamo partiti in 12 sapendo che solo tre sarebbero diventati chief resident. Nel processo di selezione la politica, la razza, il Paese di origine non sono mai contati. Per tenere me hanno mandato a casa dei dottori americani”.

Nel 2001 Maldini torna in Italia dove agli Ospedali Riuniti di Bergamo riceve un’offerta di lavoro da libero professionista: “Un contratto con partita Iva, ma non di ruolo”, ricorda. Resiste per 18 mesi e ritorna negli Stati Uniti dove ottiene una borsa di studio di due anni a Miami per specializzarsi nei trapianti di fegato e intestino sui bambini. Una scelta azzeccata, perché la materia in Italia è quasi sconosciuta: forte di questa esperienza nel 2003 decide di tornare di nuovo a Bergamo. “Effettuo con successo il primo trapianto pediatrico di intestino e il primo trapianto multiviscerale pediatrico mai eseguiti in Italia”, racconta. Lo fa con un salario a 20 euro orari, una miseria per uno specialista. In più, racconta, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e il primario del reparto si prendono i meriti di quegli interventi. Maldini partecipa ad alcuni concorsi nel nostro Paese, ma non ottiene nessuna assunzione: “In quello all’ospedale di Santarcangelo di Romagna ebbi un colloquio con membri della direzione sanitaria e mi dissero che ero troppo bravo per loro. Infatti vinse un altro candidato vicino alla pensione – ricorda –. All’ospedale di Riccione vinse un candidato che aveva fatto solo l’assistente a Rimini. Nei concorsi in Lombardia c’è una spartizione tra Comunione e Liberazione e la Lega. Ne fanno le spese i cittadini, che vengono curati da gente che non sempre è la meglio preparata”.

Maldini decide di ripartire per gli Usa. Dall’Italia si porta un’unica soddisfazione: “Essere riuscito, nel giro di un paio di anni, a trasmettere ai miei colleghi italiani le conoscenze necessarie per fare da soli i trapianti pediatrici su cui mi sono specializzato – spiega –. Così il sistema sanitario nazionale non deve più pagare per questi interventi il milione di dollari, richiesto dal centro di Miami per i pazienti provenienti dall’estero”. In America le occasioni non gli mancano: può scegliere Yale, Miami, Indianapolis o Honolulu. Sempre con stipendi sopra i 300mila euro all’anno: “Non parlerei di fuga di cervelli, ma di pazzia di chi resta”. Decide di tornare a Honolulu, “perché è il posto più bello al mondo – dice –. Ora il mio stipendio è di 310mila dollari l’anno. Non sono regalati: eseguo oltre 600 interventi l’anno, quando a Bergamo ne facevo meno di cento e alle 14 le sale operatorie erano già chiuse”.