Da qualche anno è diventato quasi una costante, ad inizio stagione, il lamento di qualche sindaco o rappresentante di categoria sulla scarsità di personale da impiegare nelle attività turistiche stagionali.
Quest’anno il capro espiatorie è toccato al reddito di cittadinanza, varato di recente, che avrebbe scoraggiato tanti, in particolare del Sud, a cercare un impiego, visto che una entrata la possono avere lo stesso. Forse per qualcuno sarà stato così, ma l’anno scorso il reddito non c’èra e la situazione era la stessa. Le vere cause, allora, devono essere altre.
In tanto proviamo a quantificare il fenomeno: stando all’Inps, che elabora i dati sugli occupati dipendenti per cui si versano contributi, nel 2017, in provincia di Rimini, nelle “attività di alloggio e ristorazione”, cioè nel turismo, lavorano 32 mila persone, di cui 17 mila stagionali. Se ci mettiamo anche le “attività di intrattenimento, artistiche e sportive”, spesso legate anche loro al turismo, la cifra sale ulteriormente.
Sei occupati nel turismo su dieci sono donne, ma tra gli stagionali raggiungono i due terzi. Spesso sono immigrate, soprattutto dai Paesi dell’Est. Non è un fenomeno recente e tanti locali lamentano una specie di concorrenza al ribasso delle condizioni lavorative.
Fare lo/a stagionale vuol dire lavorare di media 125 giorni l’anno, contro i 269 giorni di un occupato in manifattura, e prendere 57 euro giornalieri, a fronte di 91 euro dell’industria.
I contratti si firmano, ma poi spesso non si rispettano. Così le sette ore di lavoro possono diventare 10-11 ore, il giorno di riposo solo nominale (un ex stagionale mi raccontava della titolare che li istruiva sul giorno di riposo da dichiarare nel caso di controlli, che ovviamente non facevano), e i 1.400-1.500 euro netti di un cameriere, di cui parte magari in nero, che sembrerebbe una buona paga, diviso per le ore lavorate alla fine si traduce in 4-5 euro l’ora. Decisamente sotto il minimo contrattuale.
Chiaramente non è tutto così, ci sono strutture che rispettano le regole, ma chi le viola non è una mosca bianca.
E’ evidente, sostengono gli stessi operatori del settore, che un buon professionista, formato e con titoli da spendere, difficilmente accetta queste condizioni e soprattutto cerca un lavoro annuale e non si accontenta di fare la stagione, sempre più breve.
Ci sarebbero sempre i 14 mila disoccupati riminesi ufficiali, ma forse non hanno i requisiti o non ritengono la stagione adeguata alle loro attese.
Così si torna al punto di partenza: la sempre minore attrattività del lavoro nel turismo, pare anche per le migranti comunitarie, in particolare balneare. Aspetto che a sua volta rimanda alla gestione degli hotel, alla clientela di riferimento (per gli hotel annuali è diverso) e al periodo di apertura troppo breve. Per invertire la tendenza bisognerebbe partire da qui e cercare prodotti che tengano il turismo attivo tutto l’anno.
La Catalogna ha di recente varato un Piano strategico per il turismo 2020-2025 in cui, tra l’altro, si fissano due obiettivi importanti: incrementare la spesa media per turista dagli attuali 162 a 210 euro, aumentare le presenze non stagionali dal 34 al 40 per cento. Servirebbe qualcosa di simile.