Investimenti solo in Emilia: un silenzio imbarazzante

Nel giugno 2019  fu il bando regionale “Insediamento e sviluppo delle imprese”, che concedeva 22 milioni di finanziamenti a fondo perduto per la ricerca, la formazione e la tutela dell’ambiente,  creando 500 nuovi occupati, a marcare la totale assenza delle  imprese della Romagna. Infatti su 17 progetti approvati, dove figurano Ferrari, Lamborghini, Datalogic, ecc., nessuno riguardava questa parte di regione.   

Sempre nel 2019 la multinazionale svizzera del tabacco Philip Morris, già presente a Zola Predosa, comunica che avrebbe investito, questa volta a Crespellano, sempre in periferia di Bologna,  un miliardo di euro per produrre sigarette senza fumo (elettroniche), dando lavoro, tra le due sedi, a 1.600 persone.

E’ di poche settimana fa la notizia di un altro investimento da un miliardo di euro da parte di una società cino-americana, per produrre auto elettriche di alta gamma, che creerà un migliaio di nuovi posti di lavoro, in provincia di Reggio Emilia, nel cuore  della motor valley emiliana.

In una logica di mercato è normale che i nuovi insediamenti produttivi seguano gli ecosistemi meglio predisposti, che presentano cioè vantaggi competitivi, come è la presenza di altre aziende della stessa filiera, personale competente e ricerca avanzata. Quindi, niente di nuovo.

Il problema è se nella prospettiva di uno sviluppo regionale equilibrato e sostenibile, come prevedono anche i nuovi fondi europei in arrivo, è auspicabile che le imprese più avanzate, per merito loro, si intende, non perché qualcuno gli abbia fatto un regalo, e i nuovi investimenti si concentrino in una parte della regione, lasciando all’altra metà attività, certo, non esclusivamente, a minore valore aggiunto, come il turismo, senza nessun contrappeso.  

Perché è evidente che se attualmente lo stipendio annuale medio di un dipendente riminese è di 16 mila euro e quello di un bolognese e un modenese si avvicina a 26 mila euro, questi nuovi investimenti non li avvicineranno. Il tema non è quello di abbassare la qualità del lavoro emiliano, ma aumentare quello romagnolo. E la qualità del lavoro migliora se crescono le imprese che producono bene e servizi avanzati. Senza dimenticare che spesso i due camminano appaiati. 

Non si tratta di proporsi per insediamenti motoristici o elettromedicali, dove l’Emilia vanta distretti di eccellenza, ma questo territorio può contare con competenze meccaniche, della moda, farmaceutiche, informatiche  e turistiche di primissima qualità, che se aiutati a crescere e moltiplicarsi, possono offrire altrettanti buone opportunità di lavoro. Un compito che dovrebbe spettare alla politica. Quindi, stupisce, non è chiaro se per mancanza di conoscenza o scelta consapevole, il silenzio, su questi argomenti, degli amministratori e degli eletti, anche in consiglio regionale, e dei futuri candidati a sindaci.  Eppure non sono argomenti di scarso rilievo, considerando che abbiamo 26 mila riminesi emigrati all’estero, in prevalenza giovani e ben formati.