SAMEC, 45 ANNI NEL SEGNO DELLA… PRECISIONE

di Simone Santini

Tutto comincia alla fine degli anni Settanta, nel 1977, quando due ex impiegati riminesi del settore della lavorazione del legno decidono di mettersi in proprio, e porre le proprie competenze al servizio delle più note industrie del settore nel comprensorio riminese. Oggi le loro strade hanno preso direzioni diverse, ma Samec è ancora in piedi, rappresentando una delle aziende del territorio riminese specializzate nelle lavorazioni con macchine a controllo numerico (CNC), nel settore della meccanica di precisione. Situata a Villa Verucchio, l’azienda ancora oggi è portata avanti dal titolare Maurizio Sacchi. Una realtà che però, come tante, deve affrontare le acque agitate di questi ultimi anni, segnati dalla pandemia e dalle sue conseguenze profonde su economia e lavoro. È proprio Sacchi a raccontare la storia di Samec, analizzando la situazione del settore.

“Il cuore dell’attività di Samec sono le lavorazioni con macchine utensili a controllo numerico, ossia macchine che vengono controllate da appositi strumenti elettronici, che consentono di svolgere lavorazioni ad alta precisione. Le macchine che abbiamo lavorano pezzi di diverse dimensioni, da oggetti piccoli fino ad arrivare anche a 10 metri e mezzo. Quando siamo nati operavamo in conto lavoro a fianco di diverse industrie del comprensorio riminese; oggi, però, la conto lavorazione non esiste quasi più, quindi abbiamo rapporti con altre realtà per quanto riguarda diversi tipi di impieghi, come carpenterie, rettifiche e trattamenti”.

Ci racconti da dove siete partiti.

“Si tratta di una realtà che nasce quasi mezzo secolo fa, nel 1977: eravamo in due, entrambi ex dipendenti di un’azienda di Rimini che si occupava di realizzare macchine per il legno. Ci siamo associati e abbiamo lavorato insieme per più di 20 anni, per poi decidere di prendere strade separate. Oggi mi occupo io di Samec, come amministratore unico”.

Qual è il vostro mercato di riferimento? La vostra produzione prevede anche l’export?

“Per quanto riguarda le lavorazioni ci rivolgiamo al territorio, ma abbiamo anche clienti in diverse zone d’Italia, come Roma e Torino. Dal punto di vista dell’export, invece, produciamo un macchinario che vendiamo all’estero: mi capita di andare in Israele o in diverse zone dell’UE, come Germania e Lussemburgo; in passato sono stato a vendere anche in Libano, prima della guerra. Ma l’export rappresenta una piccola fetta della nostra produzione, rimanendo attorno al 3%-4%”.   

Qual è lo stato attuale dell’azienda e del settore? Ha retto l’impatto dovuto a questi ultimi anni difficili?

“A livello di lavoro e di fatturato, per ovvi motivi, il 2019 non è paragonabile al 2020. L’impatto della pandemia a livello economico si è indubbiamente avvertito anche nel nostro settore. Quest’anno siamo in ripresa, facendo segnare un +20% rispetto al 2020, ma si potrebbe fare ancora di più, perché le richieste di lavoro, in questo periodo, sono numerose. Se, però, devo sottolineare quale sia il vero problema che sta colpendo, a livello pressoché generalizzato, tutti i miei colleghi, è quello relativo al personale”.

Si spieghi.

“È molto semplice: il personale in questo settore non si trova, né specializzato né da formare. La percezione, sempre più forte e diffusa, è che questo tipo di mestiere sia sempre meno appetibile. E si tratta, a mio parere, di un problema che nasce da lontano, dal mondo della scuola: la sensazione è che gli istituti professionali siano luoghi a cui la politica ha dato attenzione per creare posti di lavoro e mantenere dei voti, mettendo in secondo piano gli obiettivi formativi da raggiungere. E questo impedisce che le nuove generazioni acquisiscano non solo le competenze necessarie, ma la mentalità stessa adatta a questo tipo di mestiere. È un’amara constatazione, ma se così non fosse non avremmo la situazione che abbiamo oggi. Per intenderci, rispetto a Svizzera e Germania, per citarne due, siamo indietro di 50 anni. Sono arrivato al punto di chiedere al commercialista se fosse possibile mettermi in gruppo con altre aziende per realizzare autonomamente la formazione dei nostri dipendenti, ma non so se ci riusciremo”.

Un problema così generalizzato incide anche sulle possibilità di investimento?

“Sì. Se oggi si riuscisse a trovare del personale si potrebbe investire maggiormente sui macchinari e riorganizzare l’azienda, ma queste difficoltà lo impediscono. Basti pensare che, proprio a causa della mancanza di personale (e quindi di investimenti), attualmente produco solo il 60%-70% di quello che potrei produrre”.

Fate ricerca, internamente o all’esterno?

“Poca, e il problema è sempre quello. Con le difficoltà di personale non riesco ad aumentare la produzione, e di domanda di lavoro ne ho già talmente tanta da faticare a tenere il passo”.