Romagna: il lavoro va meglio, ma non troppo

Indicato dal Presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno come una priorità, e sicuramente lo è, il lavoro sta dando, anche in Romagna, dei segnali  di risveglio. Positivi ma certamente non sufficienti.  Nelle  tre province della Romagna, dal 2014 (prima dell’ultima riforma del lavoro denominata jobs act, entrata in vigore nel marzo 2015) a fine 2016,  i lavoratori dipendenti in imprese private, non agricole, con versamenti Inps sono cresciuti di 7,5 mila unità, di cui più di 3 mila cadauno  a Forlì-Cesena e Rimini e il resto a Ravenna.

Si tratta, però, di una ripresa parziale perché rispetto al 2010  mancano all’appello, in tutta la Romagna,  ben 9.874 lavoratori:  2.801 a Ravenna, 4.915 a Forlì-Cesena e 2.158 a Rimini.  Recuperando i quali non si fa nessun passo avanti, semplicemente si tornerebbe al livello di partenza.

Ma qui si innesta un fenomeno singolare, comunque non nuovo. Perché se andiamo a suddividere i lavoratori dipendenti per classi d’età,  scopriamo che nel 2016, rispetto al 2010, in Romagna ci sono 13.502 occupati giovani, di età compresa tra 20 e 29 anni,  in meno  (5 mila a Forlì-Cesena, circa 4 mila a testa a Ravenna e  Rimini).  Visto che, complessivamente intesi, i lavoratori che si sono persi, nei sei anni considerati, sono di meno, è chiaro che tanti  giovani (quasi 4 mila) hanno dovuto lasciato il posto a persone più anziane.

Il recupero, seppure parziale, degli ultimi anni è comunque percepibile anche dal numero complessivo delle giornate retribuite che, sempre in Romagna, negli ultimi tre anni è salito  da 71,3 a 73,9 milioni, marcando un  più 3,6 per cento ed interessando le tre province.

Con le giornate lavorate è aumentato anche il monte retributivo dei lavoratori romagnoli, cioè la somma dei salari pagati, che da 5,9 miliardi di euro sono passati  a 6,1 miliardi.  Anche questo è positivo, ma poi ci sono le differenze, pronte a ricordarci che non tutto il lavoro è uguale.

Così si può scoprire che la retribuzione media  2016 di un lavoratore dipendente di Rimini  è  di appena 16 mila euro, l’ultima della Romagna e molto lontano da quanto prende un suo collega di Bologna, che  supera  25 mila euro.  Ricordiamo che Bologna, con 35,6 mila euro nel 2016,  è la terza provincia d’Italia, dopo Milano e Bolzano, per  pil pro capite, cioè per produzione di ricchezza.  Classifica dove Rimini figura, tra le 110 province d’Italia, al 37mo posto (Sole 24 Ore, Qualità della vita 2017).  Che tra produzione di valore e salari ci sia una relazione è piuttosto ovvio.

Sulla causa di questo ritardo, per il caso di Rimini, sicuramente ha un peso il lavoro stagionale turistico, che complessivamente interessa un lavoratore, meglio una lavoratrice, su cinque, di cui la stragrande maggioranza nel settore “servizi di alloggio e ristorazione”.  Settore dove si lavora appena 124 giorni l’anno, contro i 271 giorni del manifatturiero, con un salario medio giornaliero  di  59 euro  (erano 57 euro nel 2010), a fronte degli 89 euro della manifattura.

Si dirà che queste sono le retribuzioni ufficiali, poi c’è un po’ di nero e così i conti tornano a posto. Sicuramente c’è del vero in questo modo di pensare, nondimeno  non si può negare che tra un lavoro in nero ed uno regolare corre qualche differenza,  che a lungo andare si riverbererà  anche sulle pensioni future.  Perché non può essere nemmeno questo un caso se la pensione media mensile 2016 a Rimini è di 775 euro, quando a Bologna raggiunge 998 euro. Quasi un terzo in meno.   A confermare  che non c’è bisogno solo di lavoro, ma di buon lavoro.

Per guadagnare meglio, ma anche per avere più opportunità. Perché attività più stabili e strutturate, di dimensione leggermente maggiore,  offrono anche posti di lavoro migliori.  E magari più opportunità di carriera.

Infatti,  fatto cento il totale dei lavoratori dipendenti 2016, ad avere la qualifica di quadro o dirigente sono 5 a Bologna, 4 a Ravenna, 3 a Forlì-Cesena e poco più di 1 a Rimini.   Nei confronti delle province cugine di  Romagna, i quadri e dirigenti di Rimini sono, in valore assoluto, circa la metà.  Per intenderci, stiamo parlando di  2 mila posti per quadri e dirigenti, in genere i profili meglio pagati,  che non ci sono.

Lavoro e possibilità di crescere: due aspetti che vanno di pari passo. E chi è indietro deve rimediare, con politiche e azioni adeguate.  Con il supporto di politiche regionali che devono tenere conto di queste differenze.