Rimini veste Bangladesh

Nonostante non sia campione di esportazioni (la sua propensione all’export è poco più della metà della media regionale e il grado di apertura internazionale pure), il commercio estero della provincia di Rimini è in costante crescita: da meno di un miliardo di euro dell’anno 2000, a 1,5 miliardi nel 2015, per superare, dopo la flessione nell’anno del covid,  2,6 miliardi nel 2021: il massimo storico da inizio secolo, con un incremento sul 2020 del 19 per cento, persino superiore alla media regionale del 17 per cento. Esportazioni riminesi che sul totale regionale (72 miliardi di euro nel 2021) pesano per il 3,6 per cento.

Export quasi totalmente manifatturiero, compresi alimenti e bevande. Rimini, infatti, esporta prevalentemente, in ordine di valore decrescente: macchinari, abbigliamento, mezzi di trasporto, alimentari e bevande, metalli e prodotti in metallo.

Il suo principale mercato estero è rappresentato dall’Unione Europea, dove trova sbocco la metà dell’export, poi quote minori vanno negli altri paesi europei non UE, America settentrionale, Asia e più lontano America centro meridionale, Africa e Oceania.

Anche le importazioni sono aumentate, da 300 milioni di euro circa del 2000,  a 1,2 miliardi di oggi. Ma come si vede il saldo a favore delle esportazioni è ancora largamente positivo. Vuol dire che all’estero, grazie alla competitività delle nostre aziende, vendiamo molto più di quello che importiamo.

Qualcuno potrebbe pensare che Rimini importa soprattutto macchinari per le sue numerose attività, invece al primo posto figurano i prodotti di abbigliamento (che è anche la seconda voce del nostro export), i macchinari vengono subito dopo, mentre al terzo posto ci sono alimenti e bevande.

Da dove vengono i prodotti tessili e di abbigliamento che importiamo ? Il 42 per cento dei primi e ben il 56 per cento dei secondi  da Paesi dell’Asia centrale ed orientale, di cui la metà dal solo Bangladesh. Primo paese di importazione per questo genere di prodotti. Seguito, in ordine di valore, da Bosnia-Erzegovina e Turchia. Su 184 milioni di import di abbigliamento (dato 2019), solo 22 milioni, il 12 per cento, proviene da paesi dell’Europa occidentale.

Non c’è da sorprendersi e basta guadare alle etichette di quello che vestiamo per averne la conferma. Anche se non è da escludere che taluni di questi prodotti vengano poi ri-esportati.

Gli alimenti importati, invece, li compriamo per metà dall’Unione Europea, un quinto dall’Asia e un decimo li facciamo venire da paesi europei non UE.

Non il pesce, i crostacei e i molluschi che provengono dall’India per 13 milioni di euro, Spagna 11 milioni, Turchia 8 milioni, Portogallo 6 milioni, Marocco 5 milioni e Cina 4 milioni (dati 2020).

Siamo una città di mare, ma se anche il pesce fosse tracciato (a volte nei supermercati è indicata l’origine) scopriremmo che l’Adriatico è troppo piccolo per tanto pescato e tanto consumo. L’origine è molto più remoto.