Rimini: persi 5 mila posti di lavoro in un anno

Ogni tanto scoppia qualche caso (ultimo la crisi della ditta di scarpe Valleverde, poco prima la dichiarazione di fallimento di Aeradria, la società che gestisce l’aeroporto di Rimini, mentre i tavoli provinciali anti crisi attivati nel 2013 sono stati ben 55, 17 in più dell’anno prima)  a ricordarci  quanto il tema del  lavoro sia diventato urgente e opprimente.  Purtroppo le previsioni dicono che nemmeno per quest’anno ci saranno grossi miglioramenti, perché le imprese prima di fare nuove assunzioni vogliono vedere quanto consistente e duratura  sarà la ripresa (secondo previsioni sappiamo che non sarà un fulmine, perché il PIL dell’Italia passa dal -1,8% del 2013, allo 0,7% nel 2014 e 1,2% nel 2015 insufficienti per creare tanti posti di lavoro).

Così i numeri diventano ancora più pesanti. Ma sono lo specchio della realtà con cui dobbiamo fare i conti. Secondo le ultime elaborazioni  del sistema informativo sul lavoro e le imprese delle Camere di Commercio (Smail), che mette insieme gli archivi di queste ultime e dell’Inps,  al momento il dato più aggiornato, le imprese attive nell’ultimo anno in provincia di Rimini hanno grosso modo tenuto, con una leggero calo di qualche centinaio ma con un saldo positivo rispetto alla data d’inizio della crisi (da sottolineare che circa un terzo hanno meno di cinque anni di vita), mentre  è il lavoro ad aver subito l’arretramento più consistente con la perdita, da giugno 2012 allo stesso mese del 2013, di quasi 5 mila posti (complessivamente da 135 mila  a meno di 130 mila addetti, tra dipendenti e indipendenti, tornando sui livelli del 2010). Con l’avvertenza che i lavoratori in cassa integrazione sono considerati ancora occupati, quindi la situazione, se non ci sarà per loro un rientro al lavoro pieno, potrebbe ulteriormente peggiorare.   In Emilia Romagna  sono andati persi, nell’ultimo anno, 34 mila addetti e 64 mila circa dall’inizio della crisi.

Da giugno 2008 a quello del 2013, ad aver perso più posti di lavoro sono stati l’industria, più di tre mila, in particolare il tessile-abbigliamento, legno e mobili, prodotti in metallo e  fabbricazione di macchinari,  e  le costruzioni con circa millecinquecento addetti in meno.

Ha parzialmente compensato queste perdite il settore dei servizi, che con oltre 92 mila addetti copre il 71 per cento del totale, assumendo, nello stesso arco di tempo, un po’ meno di 3 mila persone, in particolare la ristorazione, l’informatica e le telecomunicazioni, l’assistenza sociale e i servizi sanitari.

Più in dettaglio, perché questo potrebbe orientare gli sforzi nella ricerca di un posto, anche se a volte il  segno positivo è dovuto a poche decine o centinaia di nuovi addetti, i servizi che hanno offerto più opportunità di lavoro sono stati:  riparazione e manutenzione, fornitura di elettricità e gas, raccolta e smaltimento rifiuti, software e consulenza informatica, attività di direzione d’azienda e consulenza gestionale, studi di architettura e ingegneria, ricerca scientifica e sviluppo, servizi di vigilanza, servizi per edifici e paesaggio, istruzione, assistenza sociale e sanitaria, attività creative e artistiche, servizi per la persona.

A livello comunale a risentire di più della crisi (2008-2013) sono stati, per il calo delle imprese, i comuni di Mondaino, Montegridolfo e Montefiore Conca, per la perdita di lavoro Montegridolfo, Casteldelci, Coriano e Montecolombo.  Tengono invece gli addetti del capoluogo Rimini e di Riccione, che insieme raccolgono 75 mila occupati,  più della metà del totale provinciale.

Le domande di disoccupazione

 Un secondo indicatore,  indiretto e parziale perché la richiesta di requisiti d’accesso di fatto riduce la platea, della crisi occupazionale in atto è costituito dall’andamento delle domande per l’indennità di disoccupazione, ordinaria e con requisiti ridotti.  Quest’ultima adatta soprattutto per  i/le lavoratori/trici  stagionali.

Dall’inizio della crisi, 2008, le domande ordinarie di disoccupazione sono più che raddoppiate, passando da meno di 8 a più di 16 mila. Aumento del 41 per cento anche per domande con requisiti ridotti: da 9 a 12 mila.  In totale percepiscono una indennità di disoccupazione quasi 29 mila persone.  Nell’ultimo anno c’è stata una lieve diminuzione  non tanto perché la situazione sia migliorata, ma semplicemente perché un numero crescente non riesce a raggiungere nemmeno i requisiti minimi necessari (la lettera che pubblichiamo ne è un esempio).  Paradossalmente le statistiche dei richiedenti  una indennità di disoccupazione calano perché la situazione è ulteriormente peggiorata.   Dovrebbe accadere il contrario, ma questa è la realtà imposta dai Governi nazionali che si sono succeduti.

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L’Europa boccia l’Italia sul precariato

Dipendenti Pubblici. Sentenze esemplari dalla Corte di Giustizia a Lussemburgo, potrebbero essere estese a 250 mila precari nel pubblico. Entro settembre quella sulla scuola

Con due sen­tenze del 12 dicem­bre la Corte di Giu­sti­zia euro­pea con sede in Lus­sem­burgo ha boc­ciato la legi­sla­zione ita­liana che nega il rico­no­sci­mento delle tutele dei pre­cari della pub­blica ammi­ni­stra­zione. La prima ordi­nanza, chia­mata con il nome del ricor­rente «Car­ratù», riguarda un con­ten­zioso con le Poste, che ricorre ad un esercito di lavoratori a cottimo, come tante altre pubbliche amministrazioni.

Con­fer­mando una tesi del Tri­bu­nale di Napoli, la Corte euro­pea sostiene che lo Stato ita­liano è il datore di lavoro di ultima istanza e quindi deve rispet­tare la diret­tiva 70 del 1999 della Com­mis­sione Euro­pea che proi­bi­sce a tutti gli Stati mem­bri dell’Unione di rin­no­vare i con­tratti pre­cari oltre 36 mesi, cioè tre anni. Lo Stato ita­liano deve quindi prov­ve­dere a sta­bi­liz­zare diret­ta­mente i pre­cari e que­sto vale per tutti i livelli dell’amministrazione.

Per quanto riguarda la seconda sen­tenza, chia­mata «Papa­lia», riguarda un mae­stro della banda musi­cale del comune di Aosta, pre­ca­rio da 30 anni.