Rimini: il declino delle nascite

La campagna sulla fertilità del Ministero della Salute (poi perché lanciare un “fertility day” e non una “giornata della fertilità” visto che siamo in Italia e un Ministro dovrebbe saperlo), che tante discussioni ha suscitato, se non altro ha avuto il merito di costringerci a parlare di quanti bambini e bambine  nascono in questo paese. Che sono sempre meno, tanto che dal 2014 il saldo naturale, cioè la differenza tra nati e deceduti, è diventato negativo (è la prima volta che accade dal dopoguerra): meno 100 mila nel 2014, che sono diventati meno 162 mila a fine 2015. Vuol dire che i nuovi nati non sono sufficienti a coprire il vuoto lasciato dalle persone che muoiono.  Ma questo saldo naturale sarebbe peggiore se non ci fossero i figli degli stranieri: infatti mentre, nel 2015, il saldo naturale dei cittadini stranieri è stato positivo per 66 mila unità, quello dei soli nazionali è risultato negativo per 227 mila (Istat).

In Italia, le nascite sono in calo dal 2008 e il numero medio di figli per donna è sceso a 1,39: numero insufficiente a mantenere invariabile la popolazione (dovrebbe essere di almeno 2,1) e tra i più bassi d’Europa (il più elevato è in Francia 1,99 quello più basso in Portogallo 1,21).

Ma se l’Italia piange le poche nascite, da cui, credo, l’idea di dedicare un giorno al tema della fertilità, Rimini non può ridere. Infatti è dal lontano 1985 che il saldo naturale provinciale è diventato per la prima volta negativo, restandoci  per tutto il periodo, salvo una ripresa negli anni duemila, per precipitare nell’ultimo quinquennio (nel 2015 massimo storico del saldo negativo con – 700).

I nati vivi, in questa provincia, erano 3.601 nel 1973 e sono scesi a 2.769 nel 2015 (dal 2009 sono compresi anche gli otto comuni dell’Alta Valmarecchia, quindi in realtà il declino è maggiore). E per fortuna  tra i nuovi nati ci sono sempre più figli di immigrati. Perché senza di loro il saldo naturale sarebbe ancora  più negativo, considerando che le nascite da famiglie straniere sono salite dal 4 per cento del totale del 2000, al 18 per cento nel 2013 (sono il 15 per cento in Italia).

Vuol dire che un neonato su cinque, a Rimini, è attualmente figlio di immigrati. In totale  sono 5 mila, in questo territorio, i figli di immigrati residenti nati in Italia (con il paradosso che frequentano le nostre scuole, vivono con i nostri figli, spesso parlano perfino il dialetto, ma non possono diventare cittadini italiani perché i loro genitori non lo sono).

In Italia le donne (meglio le nuove famiglie) fanno pochi figli perché troppo impegnate con il lavoro  ?  Non è il caso. Infatti in questo Paese, con età compresa tra 25 e 54 anni, a lavorare sono meno di 58  donne su cento, lasciandoci dietro solo Grecia e Macedonia, quando nei paesi scandinavi sono occupate, nella stessa fascia d’età,  più di 80  su cento.

Di fatto si dimostra il contrario: la fertilità è maggiore dove le donne hanno più opportunità di lavorare (Svezia, Danimarca, Regno Unito, Francia, ecc.).   Poi, certo, ci vogliono anche servizi adeguati (asili, ecc.).

In Provincia di Rimini, le donne con età compresa tra 15 e 64 anni che lavorano, nel 2015, sono meno di 55, quando in Regione superano quota  60. Una differenza tutt’altro che recente e che ha le sue radici nelle caratteristiche dell’economia locale, dove è molto forte la presenza di un turismo stagionale.

La prova che tante donne riminesi, tra l’altro sempre più istruite e con laurea, vorrebbero lavorare ma non trovano la si ritrova nel tasso di disoccupazione giovanile che nella fascia d’età 18-29 anni sfiora il 33 per cento (16 % quello degli uomini). Prima della crisi, nel 2007, era intorno al 12 per cento.

Così senza un lavoro, con pochi sostegni, pensare di fare  figli non è certo una decisione da prendere a cuor leggero.  Poi si può parlare anche delle migliori condizioni di salute nella riproduzione, ma senza dimenticare tutto il resto.

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