Per risalire la china

Il mese scorso  il Rapporto sull’economia riminese della Camera di Commercio ci ha consegnato una serie di indicatori negativi da farci meritare l’ultimo posto, per dinamismo economico, in Emilia Romagna.  Questa l’amara realtà, che sul fronte occupazionale, se consideriamo  i disoccupati ufficiali, i cassa integrati a zero ore, i lavoratori in mobilità e gli scoraggiati, si traduce, stando ad un calcolo dell’Osservatorio 2015 sull’economia e il lavoro di Ires-Cgil, in oltre venticinque mila persone senza impiego, portando il tasso di disoccupazione a quasi il diciassette per cento (a fronte dell’undici per cento ufficiale), dopo Ferrara,  il secondo più alto dell’Emilia Romagna.

Se poi aggiungiamo che la retribuzione media, per via del prevalere di contratti brevi e discontinui, registrati soprattutto nel turismo,  del lavoro dipendente a Rimini è circa un terzo più  bassa del livello regionale, non c’è nemmeno da sorprendersi se  questo territorio detiene anche il primato, in regione, del maggior numero di famiglie (circa nove mila) in povertà relativa.  Certo c’è l’evasione, ma  chi prende poco, perché lavora poco, non ha nemmeno molto da nascondere.

Cosa si può ragionevolmente fare per invertire questa situazione ed agganciare la timida ripresa che pare all’orizzonte ?

Piuttosto che perdersi in misure disordinate e poco coerenti, bisognerebbe che anche a livello locale, organizzando un minimo di coordinamento,  si adottassero poche ma incisive iniziative.

La prima dovrebbe riguardare il sostegno alle imprese, soprattutto piccole e medie, che esportano, l’unica attività che si è salvata. Qualcosa, soprattutto la Camera di Commercio, si sta facendo, ma vanno moltiplicati gli sforzi e anche le risorse messe a disposizione.  Ad esportare abitualmente sono circa mille e cinquecento imprese locali: bisognerebbe porsi l’ obiettivo di arrivare, entro il 2020, almeno  duemila.

Per esportare, ma anche per vendere sul mercato nazionale, ci vogliono prodotti e servizi competitivi, che  possono essere fatti solo da imprese che investono in innovazione, ricerca, personale  e che danno spazio e valorizzano la creatività, anche artigianale. Tante imprese fanno da sole, ma come indagini hanno dimostrato, anche quelle che investono, lo fanno meno delle altre emiliano romagnole.

Ci vuole un supporto forte perché quelle che già si danno da fare moltiplichino gli sforzi, ma anche questo potrebbe non bastare se non si allarga la platea delle imprese disposte a sfide più impegnative, che non mancano.  Questo dovrebbe spingere ad inaugurare prima possibile il futuro Polo tecnologico riminese, che dovrebbe diventare un traino all’innovazione.

Poi c’è il sostegno da dare alle nuove imprese, le start up, di cui il futuro incubatore, specializzato soprattutto nel campo del turismo, dovrebbe diventare un centro attrattore e propulsore.  Attrattore di talenti provenienti da tutto il mondo, a cui va però dato tutto il supporto necessario. Avere a Rimini un incubatore dove far crescere e diffondere beni e servizi originali e innovativi per un mercato globale, è qualcosa che non solo aiuterà l’economia locale a svilupparsi, ma sosterrà anche l’immagine del turismo, oggi un po’ appannata, come mostrano le presenze che sono tornate indietro di dieci anni.