L’innovazione fa sempre meno… moda

di Melania Rinaldini

Secondo il report annuale 2012 “Economia e finanza dei distretti industriali” del gruppo Intesa Sanpaolo, il distretto dell’abbigliamento di Rimini è 4° in Italia (dopo Schio-Thiene-Valdagno, Empoli e Treviso). Lo stesso report segnala il polo riminese anche nell’elenco di distretti che hanno messo a segno significativi progressi nel settore export, soprattutto verso la Russia. Crescita del +8% per l’export di abbigliamento del polo riminese e del +12,7% del vicino distretto della calzatura di San Mauro Pascoli. Dati positivi che stridono invece con quelli a segno negativo dei distretti regionali: maglieria e abbigliamento di Carpi -2,1% e calzature di Fusignano – Bagnacavallo,  -21,9%.

Accanto a questi numeri confortanti però, ce ne sono altri che lasciano un po’ interdetti, quelli resi pubblici dall’Osservatorio innovazione Emilia – Romagna 2012 (CISE, Centro Innovazione e Sviluppo Economico). L’Osservatorio ha promosso un’indagine tramite questionario da sottoporsi alle aziende della regione; 113 sono state quelle riminesi. L’indagine mirava a captare il tasso di innovazione triennale delle aziende in criteri di fatturato, investimenti, occupazione ed esportazioni. Le criticità sono emerse proprio da questi numeri: quasi la metà delle aziende riminesi intervistate (48,7%) dichiara di non aver introdotto alcuna innovazione negli ultimi tre anni, cioè dal 2009 al 2012. Va notato che la quota di imprese non innovative si riduce al crescere delle dimensioni aziendali. cioè a parità di territorio di produzione, le aziende più piccole tendono a essere poco attive sul fronte innovazione, al contrario delle grandi aziende.

Questa criticità è però segnalata nel settore moda per primo. Quali potrebbero essere allora gli spunti su cui lavorare? Come rendere ancora più competitivo il polo riminese della moda?

Non ha dubbi il neo presidente di CNA Federmoda di Rimini, Roberto Corbelli: “Il problema è alla base, fino a quando gli istituti di credito, le banche e le istituzioni non sostengono le nostre imprese concretamente, non c’è modo di innovare. Le piccole e medie imprese del settore moda sono soffocate dalla pressione fiscale e dai blocchi all’accesso al credito. Nel nostro settore infatti, non sono tanto i macchinari tecnologici a fare l’innovazione delle aziende, quanto la possibilità di fare ricerca.”

Quindi torniamo al solito problema, il denaro?

“Sì, purtroppo soprattutto in questo periodo è il problema principale. Le nostre aziende hanno talento e volontà, ma non riescono a investire denaro in fiere, incontri con buyer, viaggi che permettano sia la ricerca stilistica che quella commerciale. Molte delle nostre aziende non hanno i mezzi per organizzare un viaggio in Cina, ad esempio, che è uno degli sbocchi che sta dando maggiori spiragli. Quando l’azienda è piccola e a conduzione familiare, è difficile rischiare denaro, se poi magari ci vanno di mezzo beni come la casa.”

Che questo sia il momento ideale per sfondare nel mercato cinese Corbelli ne è assolutamente convinto, grazie anche al suo punto d’osservazione privilegiato: quello di direttore creativo dell’Italian Fashion Way di Shanghai.

ROTTA SULLA GRANDE MURAGLIA

Mauro Franchi, stilista e titolare dell’omonima linea di abbigliamento donna, è invece titubante sul 4° posto del Distretto moda riminese.

“Sicuramente – afferma – il polo riminese è tra i primi 10 in Italia, ma non credo sia al 4°. Purtroppo penso che per tornare al benessere economico di 20 anni fa ci vorranno ancora almeno 10 anni. Il problema è che in Italia si investe troppo poco nelle aziende, questo porta al fatto che molte chiudono o si riorganizzano, ma anche che la gente non ha soldi da spendere nelle boutique”.

Quindi, che fare?

“Il mio mercato è la Cina, produco in Italia ed esporto tutto lì, dove ho registrato il marchio. Sono passati due anni da quando ho fatto richiesta per la registrazione a quando me l’hanno concessa, questo perché l’ente cinese fa un controllo mondiale sull’unicità del marchio, per evitare qualsiasi problema di contraffazione. L’Italia invece fa un controllo solo su suolo nazionale, così se ci si propone su mercato estero volendosi anche registrare in altri paesi, si incorre in problemi”.

Lei cosa suggerisce a chi vuole restare in Italia?

“Le banche italiane non concedono crediti alle aziende nemmeno se hanno un buon fatturato. Per rendere più competitivo il polo riminese come l’intero sistema Italia occorrono misure economiche forti che devono venire dalla politica e dalle istituzioni. Bisogna abbassare i costi di gestione aziendale e di gestione del personale e le tasse sul lavoro.”

Nel grigiore di temi finanziari e legislativi, un po’ di colore l’ha portato un evento che ha reso Rimini il suo Palacongressi una passerella mondiale per una sera: “Forever together”. La sfilata-show di Calzedonia che ha coinvolto 20 modelle/i internazionali, 3500 persone arrivate da 30 paesi, 350 giornalisti di tutto il mondo, oltre a star del calibro di Sarah Jessica Parker e Kesha…  Perché Rimini e non Milano? Calzedonia, si legge in una nota, ha scelto la città romagnola per rimarcare il suo legame con le vacanze «democratiche» (e ottimiste) dell’Italia degli anni ‘50 e ‘60.

Un (amaro) interrogativo di fondo: perché deve venire un’azienda dal Veneto a valorizzare il territorio riminese e la sua storia e ad accendervi i riflettori?