Lettera di un artigiano deluso: come uccidere la piccola impresa

Mi chiamo Gabriele, sono di Rimini, ho 51 anni e faccio l’idraulico dal 1985,  mestiere che ho imparato ed ereditato da mio padre, idraulico anche lui (però voleva che facessi l’elettricista!).

Anche se c’è crisi, e le occasioni di lavoro sono in calo, non mi dovrei lamentare perché ho il mio giro di clienti, che pagano regolarmente e tutto sommato vado avanti e riesco ancora a portare a casa un reddito decente, per l’impegno che questo genere di lavoro richiede.  Perché l’idraulico, se gli telefonano che c’è una perdita o si è rotto qualcosa, non può dire passo la prossima settimana. A volte bisogna intervenire in giornata o al massimo quella successiva. In pratica siamo in servizio permanente e fare qualche giornata di ferie, quando si è soli (solo mio figlio collabora con me, ma sta imparando il mestiere), spesso è un’impresa.

Intanto cominciamo col dire che oggi il lavoro  è diventato più veloce nella posa in opera e più difficile  nell’impiantistica, per la maggiore varietà dei materiali disponibili e per le regole da rispettare. Nei vecchi cantieri c’èra anche più organizzazione, rappresentata da un capo mastro (capo cantiere) sempre presente, che coordinava e controllava l’esecuzione e la qualità dei lavori. Quando qualcuno sbagliava lo riprendeva e glielo faceva rifare. Se un lavoro andava fatto prima e un altro dopo,  come spesso capita per l’impiantistica, nessuno poteva invertire l’ordine. Era la garanzia di un lavoro ben fatto.

Oggi, per risparmiare, queste figure, non ci sono  più. A coordinare i lavori dovrebbero essere i tecnici (geometri, ingegneri e architetti) o le stesse imprese di costruzione, ma si fanno vedere ogni tanto e non sono sempre presenti. Quindi regna abbastanza confusione.   Le squadre di cottimisti arrivano, devono fare il lavoro nel minor tempo (per questo sono cottimisti!) e non si curano se il loro lavoro viene prima o dopo quello di un altro. Per loro l’importante è finire. Quando poi queste squadre sono composte solo da stranieri è capitato che ci volesse l’interprete.

Quando ho iniziato il mestiere non c’è molto da scrivere, oggi, anche per un artigiano senza dipendenti, i documenti da produrre per essere in regola sono davvero tanti: il Pos (Piano operativo di sicurezza), il Durc (Documento di regolarità contributiva), i patentini (per esempio, di saldatura), le visite mediche, ecc.  Tra l’altro tutte cose che costano.

Poi ci sono le pratiche di conformità degli impianti, che un tempo andavano presentate al Comune e alla Camera di Commercio, mentre oggi, per fortuna, si consegna tutto allo sportello unico, con risparmio di tempo e carta.

Ma l’aspetto veramente pesante che sempre più spesso mi fa dubitare se continuare a fare l’artigiano o andare a fare il dipendente da qualche parte è il rapporto col fisco. Veramente opprimente.

Spieghiamo come funziona. Una ditta individuale come la mia può scegliere tra due modalità di tenere la contabilità: ordinaria e semplificata.  Indipendentemente dalla scelta, al centro di tutto restano gli studi di settore, cioè quel sistema (un procedimento statistico), introdotto con una legge del 1993, secondo cui se tu sei un artigiano o un professionista,  per forza, alla fine dell’anno, devi guadagnare una certa cifra. Se vai sotto, perché magari ti sei fatto male o l’annata è stata negativa, scattano in automatico i controlli e qualcosa, da farti pagare, l’Agenzia delle Entrate lo trova sempre.

Per gli artigiani idraulici il punto di partenza, per i calcoli del fisco, è costituito dagli acquisti di materiale. Se  compri una caldaia che vale 100, secondo loro per forza devi fatturare 150, quindi farci una differenza di 50. C’è la crisi, la concorrenza aumenta, devi fare il lavoro per meno, magari non puoi ricaricare più di 30, e mi è capitato diverse volte, a loro non importa. Le tasse le devi comunque pagare per 50, altrimenti scattano gli accertamenti. Cioè ti chiama  l’Agenzia delle Entrate e ti chiede di mostrare tutta la documentazione perché non risulti congruo.  Persone che non sono mai state in un cantiere e non sanno che spesso passi le giornate a fare e consegnare preventivi, ma non prendi niente, ti calcolano le giornate che avresti dovuto lavorare, le moltiplicano per una certa tariffa oraria e ti dicono questo è quello che ci devi pagare.  Non hanno loro l’onere della prova, ma sei tu che devi dimostrare che non è andata così.  Un mondo al rovescio.  Un sistema assurdo, che invece di incentivare e premiare l’intraprendenza, ti spinge a dire “ma chi me lo fa fare”.  Io, che lavoro da solo con mio figlio, per tenere tutta la documentazione che mi chiedono di mostrare, dovrei avere una ragioniera almeno a mezzo tempo. Ma nessun artigiano idraulico se lo può permettere, perché non ci sono i margini. Così qualche foglio manca sempre. E loro ti bastonano.

Il dubbio se continuare a fare l’idraulico o smettere  mi è cominciato a venire nel 2009, quando mi sono fatto male e alla fine dell’anno il reddito non risultava congruo, cioè non in linea con gli studi di settore, per qualche migliaio di euro. Pensavo non ci dovessero essere problemi, visto che ero stato male. Invece l’Agenzia delle Entrate ordina un accertamento, col risultato che  secondo  i loro calcoli io avrei dovuto guadagnare molto di più e pagare, di conseguenza,  più tasse.  Quando è arrivata la lettera a casa, in cui mi chiedevano di versare qualche decina di migliaia di euro, quasi sveniamo!   Per fortuna  il ragioniere, che mi tiene la contabilità, è andato a parlare ed è riuscito a ridimensionare l’importo, che comunque non mi è stato facile pagare.

Ho pensato: non basta la crisi, se ti fai male devi combattere anche col fisco.  Veramente troppo!

La soluzione che tanti stanno adottando, per non inciampare con gli studi di settore, è diventata quella di non comprare più il materiale per conto del cliente, o comprarne il meno possibile, che così se lo deve procurare da solo, magari non sempre di qualità, spendere di più perché un singolo non ottiene gli stessi sconti di un idraulico che durante l’anno mette insieme un certo volume, pagare l’IVA, che un artigiano invece può recuperare. In breve, con questo sistema, il cliente finisce con spendere di più per ottenere meno.   Però  l’idraulico fattura solo il suo lavoro e si libera del resto.   Con lo svantaggio, pensate agli anziani che devono andare in giro a cercare un rubinetto o una caldaia, di non rendere un buon servizio e di dovere, spesso, lavorare con prodotti scadenti (perché se non sei competente, non è facile scegliere prodotti di qualità).

Non mi sembra un gran risultato. Soprattutto non è  un incentivo ad intraprendere.  Il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno. Il Governo lo sa (o dovrebbe)  e le associazioni di categoria pure, ma nessuno fa niente. Così muore, sovraccaricata da burocrazia e fisco, l’artigianato e la piccola impresa.