L’economia del benessere

Uno dei problemi del nostro turismo è la sua stagionalità. Dura pochi mesi (giugno-agosto) per una redditività accettabile degli investimenti e per offrire un lavoro dignitoso. Vecchio problema. Un rimedio fu trovato negli anni sessanta del secolo scorso con la costruzione della fiera e l’avvio dei congressi. Strutture, oggi completamente rinnovate, che hanno consentito una parziale destagionalizzazione, facendo salire i pernottamenti fuori stagione (ottobre-aprile) da zero al 16 per cento (dato pre covid) di oggi. Ma dato che un visitatore per fiere o congressi che pernotta spende giornalmente più di un turista normale (175 euro contro circa 80 euro del resto), il contributo all’economia turistica locale è sicuramente più consistente.

Lasciando perdere la pausa pandemia, che ha danneggiato tutti, quando il ritorno alla normalità sarà completo, nell’ipotesi più ottimistica fiere e congressi potranno arrivare a coprire al massimo un quinto dei pernottamenti della provincia di Rimini (da tempo stabili a circa 16 milioni).

Per superare questa barriera ci vogliono altri prodotti turistici da vendere fuori stagione. Il turismo termale e del benessere è uno di questi. Rimini e Riccione hanno due centri termali da offrire, si tratta di farli crescere, perché il mercato non manca.

Infatti, secondo il Global Wellness Institute (USA), il segmento del wellness tourism è quello che, nel contesto dell’economia mondiale del benessere, sta crescendo più velocemente negli ultimi anni, con un mercato quantificabile in circa 4.200 miliardi di dollari nel 2017, pari al 5,3 per cento del PIL globale (ricordiamo che il turismo apporta, allo stesso PIL il 12 per cento).

Per Federterme, l’associazione che riunisce le imprese del settore, sono 320 i centri termali aperti  in Italia, di cui il 90 per cento accreditato al Servizio Sanitario Nazionale, con 2,8 milioni di clienti, il 12 per cento dei quali stranieri.  Agli stabilimenti termali sono poi da aggiungere oltre 4 mila centri benessere.

Prima della pandemia, con 4 milioni di arrivi e 13 milioni di pernottamenti, il settore totalizzava ricavi per un ammontare di 800 milioni di euro, di cui 120 milioni per cure termali convenzionate, e il resto legati a servizi complementari, come ricettività alberghiera, prestazioni per il benessere e altro.

Anche in questo caso la spesa giornaliera risulta più elevata di quella di un turista normale.

Mercato in aumento, ma anche clienti che cambiano. Perché negli ultimi decenni è andata consolidandosi una rinnovata concezione della salute, intesa come cura, ma anche come prevenzione, e soprattutto come miglioramento psico-fisico della persona. La conseguenza è che il fruitore della vacanza termale non è più necessariamente solo il paziente bisognoso di trattamenti curativi specifici. Il target si è esteso anche ai turisti con una propensione alla spesa medio-alta, i quali possono dedicare una maggiore attenzione agli stili di vita, ad una regolare attività sportiva, ad una alimentazione più sana e alla ricerca di pratiche esperienziali che producono una serenità interiore.

Cambiamento che ha determinato una flessione dell’età media della domanda, con un calo degli ultrasessantenni e un aumento di clienti della fascia d’età compresa tra 30 e 50 anni.

Questo complesso, costituito da terme e centri benessere, da lavoro a più di 11 mila persone, che salgono a 65 mila se si considera l’indotto (Magda Antonioli, Università Bocconi, 2020). Se cresce anche questi numeri possono aumentare.

L’Emilia Romagna, con 24 stabilimenti termali,  è la terza regione in Italia, dopo la Campania (114) e il Veneto (110). 

Nel 2021 le località termali regionali hanno registrato 269 mila arrivi e 685 mila pernottamenti, in recupero sul 2020, ma un terzo abbondante sotto i livelli che erano stati raggiunti nel 2019.

Le località termali della Romagna, che contano una capacità ricettiva di 207 esercizi e 6 mila posti letto, tra alberghieri ed extra, si sono fermate, sempre nel 2021, a 128 mila arrivi e 332 mila pernottamenti.