Le rinunce negli asili nido

di Alessandra Leardini

Da servizio indispensabile a vero e proprio lusso per chi oggi riesce a permetterselo. Questo si sta rivelando il nido d’infanzia per le famiglie riminesi, e non stiamo parlando di asili privati, ma pubblici dove fino a qualche tempo fa ottenere un posto per i redditi Isee più alti, sembrava un’impresa quasi impossibile. Le rinunce a un posto al nido, in aumento secondo i dati che abbiamo raccolto in alcuni Comuni del Riminese, rappresentano un altro effetto della crisi economica che si prolunga anche sul nostro territorio da diversi anni. Sia chiaro, la domanda resta alta in generale, ma la perdita del lavoro e la difficoltà spesso estrema di arrivare a fine mese, costringono a rinunciare a tutto ciò che costa “troppo”, e nel caso del nido pubblico ciò avviene nonostante i Comuni continuino a dire che le tariffe sono rimaste inalterate proprio per venire incontro alle necessità dei “nuovi poveri”.

Nel comune di Rimini, su un totale di 738 domande, a settembre 2013 i ritiri sono stati un terzo, vale a dire 246 secondo i dati forniti dall’Ufficio Scuola. Scorrendo tra le varie motivazioni delle rinunce, quelle avvenute esplicitamente per “cambio di condizioni economiche e lavorative” sono 14, quelle che come motivo hanno invece “il costo della retta” risultano 8. In altri 68 casi sono state scelte “altre soluzioni” tra le quali il ricorso all’aiuto dei nonni, mentre nella maggioranza dei ritiri (110) la motivazione non è comunicata.
Alcune rinunce per difficoltà economica e lavorativa potrebbero essere incluse anche in questi 110 casi, ci spiega Anna Galli dall’ufficio comunale, visto che alcune famiglie potrebbero non voler esplicitare la loro condizione. Il raffronto con gli anni precedenti per quanto riguarda i ritiri avvenuti per lavoro e difficoltà a pagare la retta non è possibile – ci viene detto – perché l’analisi dettagliata è stata fatta solo per l’anno in corso.
In ogni caso, i ritiri complessivi dai 16 nidi comunali sono aumentati passando da 176 nel 2009/10 a 291 nel 2013/14 mentre le domande per il servizio sono diminuite nello stesso periodo: da 1.078 a 931. Nei nidi comunali del capoluogo la retta piena è di 450 euro, ma come spiega l’assessore Gloria Lisi, “non copre neanche il 50% del costo del servizio”; quella agevolata come in tutti gli altri comuni varia a seconda del reddito Isee. Curioso il fatto, spiega l’assessore Gloria Lisi, che “su oltre 500 bambini frequentanti, solo 53 non chiedono la tariffa agevolata”. Solo controlli successivi, che il Comune ha annunciato di potenziare attraverso controlli incrociati con i consumi in collaborazione con la Guardia di Finanza, permettono di stanare i “furbetti”. “Un bambino costa circa 10mila euro l’anno, di questi 8mila vengono pagati dal Comune – conclude l’assessore Lisi – non possiamo permetterci più furbetti”.

Anche a Riccione si registrano diverse rinunce. Nell’anno scolastico 2011/12 queste sono state 30 per poi scendere a 22 nell’anno successivo, e tornare a risalire a 30 a settembre 2013. Ma a queste rinunce se ne sono già aggiunte un’altra decina alla fine dell’anno. “Negli anni passati- ci aiuta a leggere questi dati il dirigente ai Servizi sociali Valter Chiani – le motivazioni erano più varie (dall’aiuto dei nonni alla riduzione dell’orario di lavoro al ripensamento) mentre in quest’ultimo anno è stata esclusivamente la motivazione economica a spingere i genitori a rinunciare al posto. Il problema – aggiunge Chiani – non è tanto la retta alta quanto la totale e sopravvenuta Mancanza di lavoro, addirittura di entrambi i genitori”.
Anche nella “Perla verde” è prevista la tariffa agevolata in base ai redditi Isee ma per ovviare al problema ”furbetti” e aiutare concretamente le vittime della crisi, l’amministrazione riccionese ha istituito una delibera ad hoc. Le agevolazioni rivolte a chi ha perso il lavoro o si trova in cassa integrazione riguardano la retta non solo dei nidi, ma anche delle scuole dell’infanzia comunali e statali e della mensa scolastica delle scuole primarie. La delibera è del 2009. Il primo anno (2010/11) ha contato 23 riduzioni, nel 2010/11 15, il 2012/13 18, il 2013/14 16. La diminuzione del numero di riduzioni, spiega il dirigente Valter Chiani, non è però da vedere in positivo. “E’ piuttosto spiegata dal fatto che chi ha perso il lavoro ha avuto la possibilità della riduzione solo il primo anno. Poi, non avendo diritto, non è stato più possibile applicare la rivisitazione dell’Isee ma il cittadino ha usufruito della tariffa minima”.

Bellaria Igea Marina i numeri a disposizione permettono di riscontrare un aumento altrettanto chiaro dei ritiri causati dalla crisi economica. Due bambini sono stati ritirati ad anno già iniziato dal “Belli” (nido esternalizzato gestito da una cooperativa, che ospita attualmente 21 bambini contro un numero di posti massimo di 24), altri nove hanno dovuto salutare i compagni del “Gelso” (il nido completamente comunale che oggi ospita 78 “cuccioli” a fronte di 80 posti disponibili. Ma il fenomeno più delicato, sottolinea l’assessore Filippo Giorgetti, è rappresentato dalle 35 famiglie bellariesi che nell’ultimo anno “pur trovandosi nelle graduatorie fra le aventi diritto o subentranti, hanno rinunciato per motivi dovuti principalmente alle rette o alla mancanza di lavoro”. Si tratta, aggiunge l’assessore, di una decina di ritiri in più rispetto all’anno precedente.
Un altro effetto della crisi è l’abbassamento generalizzato delle rette. “In diversi casi si è notato un passaggio a fasce di reddito più basse, con rette inferiori – prosegue Giorgetti -. Questo comporta un maggior aggravio degli oneri per l’ente pubblico che ha deciso comunque di lasciare invariate le rette indipendentemente dall’indice Istat”.

Anche a Santarcangelo di Romagna si assiste a rinunce di famiglie già entrate in graduatoria. “Nell’ultimo anno – ci comunicano dagli uffici comunali – abbiamo registrato 13 ritiri da parte di famiglie che a marzo, al momento della pubblicazione delle graduatorie, risultavano interessate ad entrare nei nostri due nidi comunali, ma che a settembre hanno rinunciato”. In cinque casi è stato specificato che la rinuncia è avvenuta per motivi di lavoro (si tratta per lo più di mamme alle quali non è stato rinnovato il contratto dopo l’aspettativa, ci spiegano) ma anche qui è possibile pensare che altre famiglie non abbiano voluto esplicitare le loro difficoltà.