Le rimesse degli emigrati valgono tre volte gli aiuti

C’è  un flusso di migranti ben visibile e di cui si occupa molto l’informazione quando sbarcano sulle coste siciliane (anche se il grosso transita per le frontiere terrestri o entra con normali visti turistici), poi c’è n’è un altro, più silenzioso e di minore impatto mediatico, che va in direzione contraria e sono le rimesse (denaro) che i lavoratori immigrati mandano alle loro famiglie (come facevano, fino agli anni sessanta del secolo scorso, i nostri emigranti nel mondo).

Secondo stime della Banca Mondiale solo le rimesse verso i paesi meno sviluppati hanno raggiunto, nel 2013, 414 miliardi di dollari, un sesto del pil italiano, il sei per cento in più sul 2012.  Rimesse che nel 2016 dovrebbero raggiungere  540 miliardi di dollari.

Rimesse che sono tre volte l’aiuto ufficiale, di cui non si discute quasi mai e che per l’Italia è uno zero virgola qualcosa, che i governi dei paesi ricchi danno a sostegno dello sviluppo di quelli meno fortunati e da cui fuggono tante persone.

India, Cina, Filippine, Messico e Nigeria sono i primi nella lista dei paesi che ricevono più rimesse da parte dei loro residenti all’estero.  Fin qui potremmo parlare di un fenomeno normale, all’interno dei processi migratori. Quello che invece normale non lo è tanto è il costo che gli emigranti sono costretti a pagare per inviare denaro a casa. In media il nove per cento, in leggero calo negli ultimi anni, con punte che possono raggiungere  anche il tredici per cento.  Solo per l’Africa si stima un ammontare per commissioni compreso tra 1,4 e 2,3 miliardi di dollari.

Commissioni che vanno a tutto vantaggio delle società finanziarie di trasferimento di denaro, in maggioranza occidentali. Il G20 (i 20 paesi più sviluppati, di cui fa parte anche l’Italia) si è impegnato a ridurli ad un più moderato cinque per cento in cinque anni.  Staremo a vedere.

Dalla sola Europa gli immigrati inviano verso i loro paesi d’origine circa 39 miliardi di euro (dato 2012), una cifra pari al dieci per cento del totale mondiale e che si è mantenuta grosso modo stabile negli ultimi anni.  Buona parte di questi denari, 28 miliardi, si  dirigono verso paesi che non fanno parte dell’Unione europea, mentre gli altri sono flussi interni, cioè da un paese all’altro della stessa Unione.

Dopo la Francia, il primo paese europeo per rimesse dei lavoratori stranieri con quasi nove milioni di euro, c’è l’Italia con circa sette milioni, più, anche se di poco, di Regno Unito e Spagna, e a sorpresa quasi il doppio della Germania.

La provincia di Rimini, dove la popolazione immigrata residente è passata da poco più dell’uno per cento del totale dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso, all’undici per cento di oggi (36 mila immigrati su una popolazione totale di 335 mila) non è estranea a questi movimenti di denaro.  Infatti anche da Rimini gli immigrati  fanno di tutto per aiutare i familiari rimasti  a casa (non dimenticare che spesso è l’intero nucleo familiare ad investire sulla persona che emigra) e nel 2013 sono riusciti ad inviare 35 milioni di euro. Una somma che la crisi non sembra aver intaccato,  tanto che è continuata a crescere, anche se declina l’importo per immigrato.  Ciascuno invia di meno,  ma nella massa le rimesse crescono comunque.     I paesi che ricevono più rimesse dagli immigrati  presenti in questo territorio sono nell’ordine:  Romania (6,1 milioni di euro), Senegal (4,6 milioni) e Bangladesh  (4,5 milioni).

Rimesse che quasi sempre svolgono un ruolo fondamentale per migliorare l’abitazione, la salute e l’educazione di chi rimane, quando non sono investiti in agricoltura o in qualche  piccola attività imprenditoriale, sostenendo, più degli aiuti dei paesi ricchi e con meno rischi di corruzione, lo sviluppo delle comunità locali.