Una impresa che faccia profitto, se evita di distribuire ai soci tutti i guadagni, può non ricorrere alla banche e auto finanziare i suoi investimenti. E’ raro, ma può accadere. Quando non esistono queste condizioni il ricorso al prestito bancario è pressoché inevitabile. In questo caso l’impresa deve cedere alla banca una parte del profitto, sotto forma di interesse. Interesse che per la banca è il corrispettivo del servizio di intermediazione, tra i risparmiatori e le imprese, ma anche i consumatori.
Quanto sia produttiva, cioè aggiunga valore al sistema economico, l’intermediazione bancaria è una annosa questione. Di certo, più alti sono gli interessi, come in questo momento, maggiore è la quota di profitto che l’impresa deve cedere. Avviene la stessa cosa per una famiglia consumatrice che abbia contratto un mutuo: all’aumentare l’importo da restituire, si contrae i reddito disponibile per altre spese. Magari le vacanze, come pare stia accadendo.
Questo sta a significare che il costo dei servizi bancari ha ricadute tanto sulla produzione di beni, come sul consumo.
Il guaio è che da troppo tempo, almeno dagli anni ottanta del secolo scorso, quando ha preso il via il liberismo più selvaggio (via lo Stato dall’economia, risolve tutto il mercato) in nome della “bontà” del mercato, la finanza ha preso il sopravvento sulle attività materiali ed oggi detta le regole.
Basta pensare che, secondo il Global Debt Monitor, dell’Istituto Internazionale di Finanza (Iif), attualmente l’ammontare complessivo dei debiti contratti da stati, imprese, banche e famiglie, supera la cifra record di 300 mila miliardi di dollari, l’equivalente del 335 % del pil mondiale. Praticamente l’economia si sta reggendo su un mare di debiti. E quanto si è indebitati il coltello dalla parte del manico ce l’hanno i prestatori di denaro. E’ quello che viene definito la finanziarizzazione dell’economia. Che però sarebbe niente senza la produzione fisica di beni e servizi da cui estrarre i propri utili.
Fa ancora discutere, sembra una sorta di lesa maestà, la tassa che il Governo ha messo sui profitti delle banche che, grazie al rialzo dei tassi, quindi senza nessun merito particolare, hanno lucrato abbondantemente sulla differenza tra quello che pagano ai risparmiatori (tassi passivi) e quello che incassano dai prestiti alla clientela (tassi attivi): nel 2021 questa differenza ammontava a 38 miliardi di euro, nel 2022 è salita a 45,5 miliardi, e per fine anno 2023 si prevede possa arrivare a 60-70 miliardi di euro (Italia Oggi del 10/8/2023). Utili raddoppiati in due anni. Se non sono super profitti questi !
Come sono stati ottenuti ? Il tasso medio sui conti correnti a giugno scorso era dello 0,36%, solo 33 punti base in più rispetto al giugno 2022. Invece i tassi sui mutui praticati alle famiglie, anche le giovani coppie, sono passati in un anno dal 2,37% al 4,65%, con un differenziale di 228 punti. Per i prestiti alle imprese il differenziale è stato addirittura di 360 punti: il tasso medio è schizzato dall’1,44 al 5,04%. Comportamento che forse spiega la reazione moderata delle banche. Che ovviamente faranno di tutto, nonostante le evidenze, per ridurre i danni ai loro bilanci.
Il fatto curioso e che si tratta di una misura senz’altro di sinistra, presa però da un governo di destra. Comunque ampiamente giustificata. Lo ha fatto anche il governo di sinistra spagnolo e non è venuto giù il mondo. Ad una condizione: i proventi vanno investiti sostenendo i settori più fragili della nostra società.