Le abitazioni (tante) da riformare

Mentre si lamenta una scarsa crescita dell’economia, affermare che ci sono troppe abitazioni non piacerà ai costruttori, ma è la realtà. Ed è il risultato di un processo molto semplice: la fine della crescita  della popolazione. Perché nonostante l’immigrazione, che oggi rappresenta l’11 per cento dei residenti in provincia di Rimini, dagli anni novanta del secolo scorso ai giorni nostri il saldo naturale della popolazione, cioè la differenza tra i nati e le persone decedute, è purtroppo negativo. Vuol dire che chi muore non ha trovato un sostituto.   Quindi è evidente che non si può continuare a costruire case per chi non c’è,  e non è previsto che nasca.

Così,  quando sui giornali si scrivono titoli del tipo “Mattone, calo del 76 per cento dei permessi per costruire (a Rimini, ma nelle altre province della Regione anche di più)”, oppure “nel riminese, 3 mila case invendute”, dobbiamo leggerli in questo contesto. Che non è troppo diverso da quello che è avvenuto in Europa nell’area euro, dove la produzione del settore costruzioni è scesa di 35 punti percentuali dal periodo di massima espansione, primo trimestre 2007 (pre-crisi), a metà del 2014.

Le abitazioni occupate da non residenti o non occupate affatto, in provincia di Rimini, che già erano 26 mila del censimento del 2001 (senza l’Alta Valmarecchia), raggiungendo il 20 per cento del totale, sono diventate 32 mila nel 2011, Alta Valmarecchia inclusa, mantenendo lo stesso peso percentuale, quando la media regionale delle abitazioni non occupate è del 16 per cento.  In questa differenza le case per turismo della costa giocano la loro parte.

Così non sorprende, complice anche la crisi, il crollo delle compravendite in provincia di Rimini, che nell’arco di cinque anni sono cadute  del 39 per cento (da 3,5 mila del 2009 a 2,1 mila nel 2013) in linea con la Regione, ma più della contrazione nazionale.

Paradossalmente calano le compravendite delle abitazioni medio-piccole, ma conquistano il segno positivo, almeno nell’ultimo anno, quelle di grandi dimensioni.

Seguendo la logica del mercato (quando la domanda scende, i prezzi dovrebbero seguire) ci si attenderebbe un crollo anche dei prezzi, ma così non sembra, perché dal 2009 a fine 2013 le quotazioni medie provinciali sono rimaste grosso modo le stesse, sostenute dal Capoluogo (il comune di Rimini), più che dal resto della provincia, dove l’indice, nel 2013, mostra una flessione.

Per intenderci, dal 2002 al 2012, i prezzi medi al metro quadro delle abitazione nella città di Rimini, in zona semi-centrale, sono aumentati del 49 per cento, e addirittura dell’85 per cento nelle zone di pregio/centro storico.

In termini monetari un’abitazione ha un costo medio, nel 2013, di 2.580 euro al metro quadro nel comune di Rimini, che è il terzo valore dopo Bologna e Parma. Leggermente più basso, 2.474 euro/mq.,  nei restanti comuni della provincia, dove in ogni caso la quotazione media è mille euro sopra il dato medio regionale per comuni non capoluoghi.

In sintesi, la crisi ha colpito le compravendite, ma non ha influito più di tanto sulle quotazioni, che hanno smesso di crescere ma non sono diminuite.  Dati, dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare nazionale,  che sembrano contraddire  il sentire comune.

Si sono invece dimezzati i mutui ipotecari concessi dalle banche, e questo non aiuta certo la domanda: fatto uguale a cento il dato del 2004, a fine 2013 l’indice era sceso a cinquanta. Andamento simile nel resto dell’Emilia Romagna. In tutto il 2013 sono stati concessi, in provincia di Rimini, 820 mutui: dieci anni prima erano il doppio.

Il tasso d’interesse medio iniziale per i mutui concessi in provincia è stato, nel 2013, del 3,48 per cento, in lieve calo sull’anno prima, per una durata media di 22 anni e  una rata media mensile di 748 euro.

Ristrutturazioni che darebbero lavoro

Di norma nessuna impresa produce qualcosa che il mercato non è in grado di comprare. Questa regola dovrebbe valere anche per le costruzioni. Salvo orientarsi, ma accade raramente, verso abitazioni di prezzo contenuto dove, tra giovani coppie, immigrati ed altri, il mercato non mancherebbe. Qui però il mercato si ferma, perché i margini di guadagno sono troppo limitati.

Ma anche restando sul costruito il lavoro da fare non sarebbe poco. Basta considerare che il grosso del patrimonio immobiliare risale agli anni settanta del secolo scorso, quando si tiravano su case e palazzi senza norme antisismiche e l’efficienza energetica era un concetto sconosciuto, tanto costava poco  il petrolio.  Poi le cose sono cambiate, Rimini è stata dichiarata zona sismica e il costo dell’energia è salito alle stelle.  Ma pochi, nelle costruzioni esistenti, hanno eseguito lavori di messa in sicurezza e di efficientamento energetico.  E’ stato calcolato che una casa tradizionale di 100 mq consuma mediamente dai 1000 ai 1500 litri di gasolio l’anno per il riscaldamento, mentre una casa passiva (che sfrutta l’energia solare e altre fonti di calore) ne consuma 150, facendo scendere la bolletta energetica da 1000-1500 euro a 150 euro. Un bel risparmio.  Per raggiungere questi risultati si può fare ricorso anche agli incentivi governativi (dal 1° gennaio 2015 detrazioni fiscali del 40 per cento della spesa per le ristrutturazioni e fino al 50 per cento per interventi che aumentano il livello di efficienza energetica), ma il problema grosso è che bisogna anticipare gli importi, che a volte non sono pochi.  Se  le  banche collaborassero, con prestiti a tassi bassi  forse anche questo mercato potrebbe decollare e creare lavoro per tanti. Un mutuo si potrebbe ripagare col risparmio ottenuto.