Lavoro turistico, quanto paga rispettare la legge?

di Simone Santini

Nel mondo del lavoro stagionale di Rimini, e della riviera romagnola in generale, c’è qualcosa che non va. Si sa da tempo, ma è un fatto talmente noto da diventare ormai naturale: inutile sorprendersi, inutile parlarne, perché in Romagna si fa così, punto. Soprattutto nel mondo alberghiero, tra i settori più caratteristici della storia della nostra riviera. Lavoro nero, mancati pagamenti, rifiuto di concedere il giorno libero e straordinari che diventano la regola, sono solo alcune delle tendenze ormai radicate un po’ ovunque sul territorio. Ma l’elemento più emblematico è un altro: a Rimini, rispettare le regole del lavoro, non solo fa notizia, ma è meritevole di riconoscimento. Ciò che dovrebbe essere normale, viene premiato come qualcosa di eccezionale. Come nel caso dell’Hotel Aros di Torre Pedrera, al quale la start up riminese Ethicjobs, impegnata nel valutare il benessere degli ambienti di lavoro nelle aziende del territorio, ha conferito il riconoscimento di “Hotel etico”, il primo della riviera. Tradotto: tutte le leggi sono rispettate, così come tutti i diritti dei lavoratori. Ora, però, occorre ribaltare la questione, e chiedersi: rispettare la legge è giusto e fondamentale, ma è conveniente a livello economico? Se così tante aziende cercano di aggirare le regole, è possibile che il problema stia proprio in quelle regole, soprattutto per quanto riguarda il costo del lavoro? Risponde, analizzando la situazione, Daniele Ciavatti, titolare dell’Hotel Aros.

“Per noi è sempre stato normale, ed è strano che faccia notizia, seguire le regole. Seguiamo i contratti nazionali, i nostri dipendenti hanno il giorno libero, ricevono un equo compenso, lavorano al massimo 40 ore alla settimana e in caso di necessità, cosa che può accadere in una stagione turistica intensa come quella romagnola, fanno alcune ore di straordinario che vengono regolarmente pagate”.

Ha ragione, è strano che faccia notizia. Ancora più strano, dunque, aver ottenuto addirittura un riconoscimento per aver seguito le regole.

“A Rimini c’è una start up chiamata Ethicjobs che si occupa di valutare il benessere lavorativo all’interno delle aziende del territorio. Qualche mese fa ci ha proposto di ricevere questa certificazione etica: nello specifico, si è trattato di sottoporre i nostri dipendenti a un questionario, completamente anonimo, relativo alle condizioni di lavoro nella nostra struttura. Dalle loro risposte è emerso che i diritti sono garantiti a tutti e che l’ambiente di lavoro è positivo. Da qui la certificazione di ‘Hotel etico’, il primo in tutta la riviera di Rimini”.

Ecco, questa è una notizia: in tutta la riviera gli “hotel etici” si contano davvero sulle dita di una mano?

“Questa proposta da parte di Ethicjobs era stata avanzata a diverse altre strutture della riviera, ma quasi nessuno ha accettato”.

E questo la dice lunga, ma veniamo alle cause. È scontato dire che, se così tante aziende tendono a non voler seguire le regole, è perché è conveniente farlo. Ma quanto? In sostanza: il lavoro etico paga o è davvero così complicato avere margini sufficienti alla fine della stagione?

“È ovvio che chi rispetta le regole deve affrontare costi maggiori. Detto questo, però, ci sono alcune considerazioni da fare. La prima è che le leggi vanno rispettate, punto. Non può essere un’opzione quella di decidere di non seguire le leggi per evitare le difficoltà imprenditoriali. L’unica cosa che si può fare, e sarebbe anche legittimo perché indubbiamente in Italia un problema di costo del lavoro esiste, è quella di battersi per cambiare le leggi. Ma non ci sono altre opzioni. Seconda cosa, arrivando al punto: se è vero che rispettare le regole comporta un aggravio di spesa, è altrettanto vero che in questo modo è possibile organizzare la propria forza lavoro al meglio delle potenzialità, in modo più ordinato e funzionale. Questo lavoro di organizzazione, che indubbiamente è più complesso e faticoso per un imprenditore, rende più razionale l’equilibrio della forza lavoro all’interno dell’azienda, con benefici per l’intera impresa a lungo termine. Non solo: questo lavoro di razionalizzazione porta anche l’imprenditore a raffinare le proprie competenze, altro elemento che, alla fine, incide sempre in modo positivo sull’attività”.

In un certo senso, dunque, violare le regole non solo non conviene, sul lungo periodo, a livello economico, ma incide anche sulla qualità professionale dell’imprenditoria di un territorio.

“Evidentemente questo lavoro di organizzazione è disincentivante per molti imprenditori, per mancanza di capacità o di voglia. Infatti, a mio parere, andrebbe previsto, per chiunque decida di intraprendere un’attività nel settore turistico e alberghiero, che vengano svolti degli specifici corsi di formazione professionale che diano le giuste competenze. Non è affatto ragionevole che oggi si possa aprire una partita Iva, comprare un albergo e iniziare a lavorare senza formazione. Purtroppo, invece, la formazione professionale in Italia è molto scadente”.

Passiamo a uno dei temi più “caldi” della scorsa estate: la scarsità di lavoratori stagionali in Romagna. C’è chi ha dato la colpa al Reddito di Cittadinanza, considerato disincentivante per la ricerca di un lavoro e chi, invece, ha suggerito che i lavoratori si siano stancati di accettare condizioni di lavoro tutt’altro che dignitose, oltre che fuori dalle regole. Qual è la sua esperienza?

“Noi abbiamo lavoratori che sono con noi da 20 anni. Questo avviene perché se le persone si trovano bene, in un ambiente di lavoro positivo e trasparente, in cui tutti i diritti sono garantiti e rispettati, accettano eccome di lavorare. Quindi credo che il punto sia proprio questo. Non sono molto convinto del fatto che il Reddito di Cittadinanza sia il vero disincentivo al lavoro: piuttosto si crea il problema opposto, ossia la tendenza per cui le persone percepiscono questo reddito ma poi vanno comunque a lavorare in nero. È, in questo senso, un ulteriore incentivo all’illegalità. Inoltre, va sottolineato come in Italia ci siano anche grossi problemi con i centri per l’impiego, che già esistevano prima della pandemia e che ora il Covid-19 non ha fatto che accentuare. A tutto questo, infine, si aggiunge il problema, a Rimini, della scarsa vigilanza da parte degli ispettori del lavoro: probabilmente sono in pochi e la pandemia non li avrà di certo aiutati, ma la percezione diffusa è che siano organizzati male. Questo porta a un basso livello di vigilanza e, di conseguenza, a una maggiore facilità nell’aggirare le regole. Migliorare la qualità dei controlli sarebbe giù un ottimo punto di partenza per risolvere parte dei problemi di cui abbiamo parlato. E anche la politica deve dare il proprio contributo: siamo all’indomani delle elezioni a Rimini, speriamo che la nuova Amministrazione abbia tra le priorità la lotta al lavoro irregolare e all’evasione fiscale. Si vedrà”.