Lavoratori stagionali cercasi: ma a quale condizioni ?

Il turismo, è noto, è una grossa fonte di lavoro. Secondo l’Osservatorio dipendenti INPS gli occupati nel settore “alberghi e ristoranti” della provincia di Rimini, con almeno un versamento contributivo effettuato nell’anno 2016, sono complessivamente 29 mila, di cui 16 mila stagionali (6 su 10).  In maggioranza sono donne, molte immigrate, soprattutto dall’Est. Lavorano in media quattro mesi l’anno e prendono uno stipendio giornaliero ufficiale di 60 euro, il più basso tra tutti i settori dell’economia locale.

Le cronache estive hanno riportato, a più riprese, il lamento degli operatori del settore che non trovavano  personale.  Un lamento che, a prima vista, stride con una provincia che ha il tasso di disoccupazione più alto dell’Emilia Romagna, e dove ci sono 16 mila disoccupati e 63 mila persone inattive, pur avendo l’età per lavorare.

Per cercarne di capirne di più, grazie alla collaborazione di Mirco Botteghi, Segretario  del Sindacato Filcams Cgil, abbiamo così deciso di intervistare un piccolo gruppo di lavoratori e lavoratrici  stagionali. Le loro storie sicuramente possono dirci qualcosa sul lavoro che viene svolto e sulle resistenze, almeno locali, ad accettarlo.   Chiariamo: non è l’universo, ma sono solo piccoli  squarci di chi sicuramente ha qualche rimostranza da fare.   Tanti altri magari lavorano in piena regola e con tutti i diritti rispettati.  Comunque sono storie che, nondimeno, dicono molto.  Perché non sono nemmeno delle eccezioni, se dai controlli effettuati dalle Fiamme Gialle (Finanza)  a fine giugno di quest’anno, su 116 lavoratori identificati in solo 14 aziende visitate, diverse del settore turistico, 61 sono risultati irregolari e 35 completamente in nero. Praticamente, in regola erano una esigua minoranza.

L’amministrazione comunale di Riccione pensa, giustamente, di sospendere la licenza commerciale a chi non paga la Tari (tassa sui rifiuti).   Cosa succederebbe se lo stesso provvedimento fosse esteso a chi mantiene i lavoratori  in nero e non corrisponde loro quanto gli spetterebbero ?   Pensiamoci.

Di seguito le storie raccolte. Qualche volta, per ragione di tutela degli interessati, i nomi sono di fantasia, ma le esperienze  assolutamente vere.

Enrico, 26 enne, di Rimini , diplomato Perito Turistico all’Istituto Malatesta, conoscenza dell’inglese e un po’ di spagnolo, precedenti esperienze lavorative nel settore, da due anni lavora, anche con relativa soddisfazione, come Responsabile Sala in un hotel di tre stelle, con circa quaranta camere a gestione familiare, in località Rivabella.

Il suo rapporto di lavoro è iniziato a fine maggio e proseguirà per tutto settembre. Preferirebbe un lavoro annuale, ma trovarlo non è difficile.   Così, finita la stagione, si arrangia con lavoretti occasionali reperiti tramite le Agenzie per il lavoro.

Da contratto, regolarmente sottoscritto, anche se lo ha dovuto sollecitare, dovrebbe fare 6,40 ore giornaliere e godere di una giornata di riposo. In realtà il suo orario si protrae per 10-11 ore giornaliere, senza nessun riposo settimanale, per uno stipendio netto mensile di 1.400 euro.  Ovviamente tutto compreso.  Siamo su 4-5 euro l’ora.

Carente di personale Enrico si è attivato per coprire, tra le sue conoscenze, i vuoti dell’hotel in cui lavora, ma ogni volta che prospettava  l’impegno richiesto e il salario che sarebbe stato corrisposto, ha ricevuto solo rifiuti.

Con lui, escluso la titolare, lavorano altre sette persone, di cui due romene, addette alle camere la mattina e alla cucina nel pomeriggio (perché nessun italiano vuole lavare i piatti !), un ragazzo ecuadoriano e un altro proveniente dal Sud. In totale gli addetti dell’hotel residenti a Rimini sono la metà.

Il personale romeno, che può usufruire di un alloggio messo a disposizione dall’hotel, pur lavorando le solite 10-11 ore, sempre senza pausa settimanale, non guadagna più di 1.200 euro mensili.

Antonio, della provincia di Rimini, ha 62 e da molti anni lavora come cameriere di sala, anche se nel recente passato ha fatto il portiere tuttofare.  Quest’anno, come cameriere, ha trovato in un ristorante di Rimini.  Assunto, dal primo giugno a fine agosto, con un contratto a chiamata, altrimenti detto a intermittenza (vuol dire che vai a lavorare solo se richiesto),  ha servito con continuità 10-11 ore giornaliere, ma è stato messo in regola per meno della metà del tempo.  Infatti, mentre  il suo salario ufficiale netto, tutto compreso, si aggira intorno alle  800-900 euro, in realtà ha guadagnato il doppio. Il resto ovviamente lo ha preso in nero.   Nei mesi di giugno e luglio ha potuto usufruire della giornata settimanale di riposo, contrattualmente prevista, ma non in agosto, nel pieno della stagione.

A parte ogni altra considerazione, il lavoro regolare ridotto al minimo si rifletterà sulla eventuale indennità di disoccupazione invernale, che essendo parametrata al tempo ufficiale, subirà pesanti tagli.

Con lui, nello stesso ristorante, lavorano 15 persone, di cui, però, solo 5 sono italiani, ed ancora meno i riminesi. Il resto è costituito da romeni, senegalesi, nigeriani e altri.

Alla domanda se è vero che gli italiani certi lavori non vogliono più farli, la risposta di Antonio è piuttosto netta: “Non è vero. Non vogliono farli a queste condizioni. Se fossero migliori tanti li sceglierebbero”.  Una opinione ascoltata altre volte.

E qui ricorda, non senza nostalgia, quando, 31 anni fa, lavorava in un posto dove si timbrava il cartellino, in base al quale il commercialista calcolava poi gli stipendi. Tutto chiaro e senza discussioni.

Per rimarcare il peggioramento delle condizioni di lavoro cita il caso del riordino della camere, oramai affidato al personale della Agenzie interinali, quindi esterno, al prezzo di 3-4 euro per camera.

Finita la stagione estiva è in attesa di continuare nello stesso ristorante, possibilmente a tempo pieno. Almeno questa sarà la sua richiesta.

Camilla, 21 anni, studentessa di giurisprudenza in pausa, è venuta da Bologna per fare l’animatrice turistica per bambini in un hotel a quattro stelle di Riccione. Alla sua prima esperienza, senza aver frequentato nessun corso particolare, ha firmato un contratto con una Agenzia di Cattolica, ma con sede legale a Caltanisetta, secondo quanto ci racconta.

Contratto  che prevedeva un impiego part-time a cambio di uno salario netto in busta paga di 420 euro.  Solo che la realtà  éra leggermente diversa: tutti i giorni almeno 9 ore di lavoro, sette giorni su sette, sempre per lo stesso salario, clausole contrattuali piuttosto vessatorie, e talvolta persino illegali, che prevedevano il pagamento della divisa, una trattenuta di 30 euro se capitava di assentarsi, anche per malattia, multe se avessero parlato male dell’agenzia, la condivisione di un alloggio, nel comune di Misano, con altre sette persone, tutti giovani e provenienti da fuori, dalla Sicilia al Trentino, ammassati in letti a castello in 3-4 per stanza, con un solo bagno e colazione a base di merendine da supermercato.

Condizioni che, a fine luglio, dopo due mesi di lavoro, hanno convinto  Camilla a presentare, sostenuta dal Sindacato, una denuncia ufficiale all’Ispettorato del Lavoro.

Per il titolare tutto questo era normale, anzi la sua agenzia era perfino generosa, tanto che dopo la denuncia gli hanno proposto di trasferirsi, come fossero dietro l’angolo, in Trentino oppure in Sicilia, luoghi dove gestiscono l’animazione per conto di altre strutture.

Alla fine Camilla ha presentato le dimissioni per giusta causa (previste a motivo del  comportamento del datore di lavoro) ed ora è in attesa che gli venga corrisposto il salario che gli spetta per tutte le ore fatte, compresi gli straordinari.

Verrebbe da fare una domanda: ma gli hotel conoscono e condividono le condizioni di lavoro del personale  esterno, visto che la pratica si va diffondendo, che contrattano ?  Come pensano di offrire un servizio di qualità con queste condizioni lavorative ?   Una riflessione, la categoria, dovrebbe farla.