La spiaggia è pubblica e la gestisco io

Allungando la lista dei “si, sono d’accordo, ci mancherebbe…ma da un’altra parte”, continua lo sdoppiamento di personalità di tante categoria economiche nazionali, che a parole sono per il libero mercato e la concorrenza, salvo però essere poco conseguenti quanto si tratta del “loro giardino”. Cioè dei propri interessi, che possono non coincidere con quello generale. Cioè di tutti noi.

Come è oramai noto, una direttiva europea, la Bolkestein, del 2006, quando era Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, richiede che tutto quello che è patrimonio dello Stato, come sono le spiagge, deve essere messa a gara con bandi pubblici. 

A parte ogni altra considerazione, è una questione di buon senso: se io ho un bene, cerco di ricavarci il massimo, non concedendolo al primo che la chiede, o al figlio di chi l’aveva prima, ma mettendolo sul mercato per cercare di spuntare il miglior prezzo.  

Perché lo Stato, il cui debito pubblico, per parare i danni del covid, ha superato il 160 per cento del pil (prima era al 130 per cento), tra i più alti d’Europa, non debba comportarsi così, una volta si sarebbe detto come “il buon padre di famiglia”, non è facile da spiegare. Infatti i difensori dello status quo non lo fanno. Ma i debiti li dobbiamo pagare tutti e se si potessero ridurre, valorizzando meglio il patrimonio pubblico, non sarebbe proprio una cattiva idea.

Sta di fatto che con vari escamotage, avvallati da tutti i partiti, da destra a sinistra, nazionali e locali, il Governo italiano ha deciso di prorogare le attuali concessioni di spiaggia fino al 2037. Cioè per altri 17 anni. Che vuol dire 31 anni di cosciente e persistente disapplicazione della Direttiva europea, che tra poco ci costerà anche una multa da pagare. Ovviamente a carico di tutti i contribuenti. Con buona pace di chi potrebbe avere idee migliori su come gestire ed offrire servizi di spiaggia, che fatte le debite eccezioni, sono gli stessi da almeno mezzo secolo.  Come sono le stesse le presenze turistiche in provincia di Rimini, ferme a 16 milioni da almeno un trentennio. Qualcosa vorrà dire.

Avviene così che in un mercato statico e ristretto, 8 mila chilometri di coste nazionali, di cui 3.346 sabbiose, su cui insistono 54 mila concessioni demaniali marittime, compreso 11.104 stabilimenti balneari e 1.231 campeggi e circoli sportivi, hanno reso allo Stato, nel 2019, appena 103 milioni di euro, a fronte di un volume d’affari stimato in 15 miliardi di euro. Sono meno di 2 mila euro per concessione; 13 euro per chilometro di spiaggia.

Un noto imprenditore di uno stabilimento balneare toscano alla moda, dove una giornata al mare costa mille euro, versa appena 16 mila euro per  4.485 m2  di spiaggia: 3,5 euro per metro quadrato, decisamente una miseria.

In Emilia Romagna, che dispone di 131 chilometri di costa, le concessioni per stabilimenti balneari sono 1.209  (906 tra Cervia e Cattolica, di cui 233 nel comune di Rimini)  e 51 per campeggi. Insieme occupano il 69 per cento della costa sabbiosa regionale, lasciando poco margine per le spiagge libere (Legambiente, Rapporto spiagge 2019).

Inutile aggiungere che anche dalle nostre parti i canoni annuali di concessione sono ridicoli: nel comune di Rimini, nel 2019, un chiosco di spiaggia che occupa un’area scoperta di 466 m2  paga 1.163 euro, se la superficie è di 183 m2  di euro ne versa 429. 

Uno stabilimento balneare di 7 mila m2 di area scoperta a Rimini Nord paga meno di 10 mila euro, con 15 mila m2  si arriva a 20 mila euro. Nella zona San Giuliano per 59 mila m2  di arenile si spende 68 mila euro, poco più di 1 euro a m!  Un po’ di più a Marina Centro, dove per 14 mila mil canone sale a 42 mila euro, 3 euro per m2  (Fonte: Demanio Marittimo del Comune di Rimini).

Ma non c’è solo, quando si tratta di  scontrarsi con interessi consolidati, la pratica italica dell’eterno rinvio a discapito dell’interesse pubblico. 

Perché l’altro lato, sempre negativo, della medaglia riguarda il fatto che questi favori vengono concessi senza porre condizioni, nemmeno migliorative. Lasciate all’iniziativa individuale, ma raramente sistemica.

Rimini, come del resto l’Italia intera, deve ridurre, nel prossimo decennio, almeno della metà le sue emissioni in atmosfera, che attualmente ammontano a circa 6 tonnellate per abitante. La gestione dell’arenile dovrebbe contribuire con la scelta dei materiali, l’uso di energia rinnovabile, il risparmio sui consumi di risorse, facilitando la mobilità ciclopedonale e altro.  Si dovrebbe, cioè puntare, ad una spiaggia verde. Con impegni precisi e un crono programma da rispettare, visto l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030.  La Regione dovrebbe costruire la cornice, i comuni applicarla adattandola alle rispettive situazioni.     

Perché se il mare si alza, per effetto del riscaldamento del clima che scioglie i ghiacciai, non c’è concessione che possa salvarsi. E non si tratta di un fenomeno probabile, perché già 44 km della costa emiliano romagnola è interessata da fenomeni di erosione, con una perdita di arenile stimata in  540 mila m2  nel periodo 2000-2012 . Che diventano 13 milioni di mse prendiamo il periodo 1960-2012 (Ministero dell’Ambiente, L’erosione costiera in Italia, 2016).