La Provincia di Romagna: un matrimonio che s’ha da fare?

di Angela De Rubeis, Mauro Bianchi e Lucia Renati

I tre quesiti

  1. La Romagna è solo un’entità geografica, oppure c’è qualche elemento storico-culturale-antropologico  che ne definisce la sua identità e la distingue, cioè rende riconoscibile ad un esterno, dagli altri (emiliano e marchigiani in primis)?
  2. In questo contesto di “romagnolità” cosa unisce e cosa separa (nei modi di fare, nei comportamenti, stili di vita, ecc.) un riminese, da un forlivese o un ravennate?
  3. In conclusione, è un “matrimonio” (a parte l’aspetto istituzionale) che ha qualche probabilità di riuscita, e soprattutto potrà servire a rafforzare l’identità della Romagna, restituendogli un po’ di potere politico che fino ad oggi non ha avuto?

 

STEFANO PIVATO, originario di Gatteo a Mare, è uno storico e saggista oltre che rettore dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

1.  “Certamente la Romagna ha una sua precisa fisionomia. Non lo scopriamo da oggi. I contorni della Romagna vengono disegnati, dal punto di vista culturale, nella seconda metà dell’Ottocento. Da allora montagne di saggi, interpretazioni e convegni si sono interrogati che cosa sia la Romagna ma non hanno mai messo in dubbio che esista quella entità: con la sua cultura, il suo dialetto (i suoi dialetti), le sue tradizioni gastronomiche, i suoi costumi, etc. Si tratta di argomentazioni oltretutto avanzate, anche se il più delle volte in maniera goffa, da quanti nell’ultimo ventennio, hanno reclamato l’autonomia della Romagna dal resto dell’Emilia. La fisionomia di un territorio non ha bisogno di confini amministrativi (spesso imposti dalla politica e dai politicanti) per esistere e pulsare”.

2.  “In tempi di positivismo imperante (oltre un secolo fa)  Emilio Rosetti in quell’opera fondamentale che è La Romagna  aveva contribuito a delineare i contorni del carattere del romagnolo: primitivo, collerico e violento. All’interno di quella caratterizzazione generale distingueva poi, sulla scorta di varie monografie cittadine, alcuni caratteri peculiari: “di natura ignea e collerica” il forlivese; “d’ingegno pronto e svegliato” il faentino; “pacifico e lento piuttosto che precipitoso” il riminese. Ma oltre un secolo fa si viveva immersi in una civiltà contadina. Oggi tutto è cambiato. Di mezzo c’è stato un boom economico che ha cambiato mentalità, costumi e consumi. E che, mi par di capire, ha uniformato di molto i diversi caratteri delle varie realtà della Romagna.

3.  “Lasciamo stare il termine “identità”. E’ un sostantivo troppo spesso invocato per segnare confini, separatezze e differenze. Se mi consente è un termine dietro il quale rischia di celarsi anche una buona dose di razzismo. La Romagna c’è indipendentemente da tutte le strumentalizzazioni di carattere politico che sono state fatte per identificarla come regione autonoma. Il potere politico (meglio la capacità di fare politica) non è determinato da confini amministrativi che fino ad oggi – diciamocelo chiaramente – sono serviti per disegnare mappe di influenza e di potere. La Romagna continuerà ad esistere e a essere sempre più presente nel dibattito se avrà del personale politico all’altezza della situazione. Non esprimo un giudizio sulla correttezza dell’operazione che sembra condurre alla creazione di una unica provincia. Mi limito a far notare una contraddizione: ma è mai possibile che oggi quanti si oppongono alla creazione di una “grande” provincia (che poi grosso modo corrisponde alla Romagna) siano gli stessi che fino a poco tempo fa reclamavano a gran voce la creazione di una regione romagnola?

 

Prof. Everardo Minardi, originario di Faenza, docente all’Università di Teramo di sociologia generale e dello sviluppo

  1. “La Romagna è una rappresentazione, a cui si è accompagnata un’idea di differenza, per una popolazione e per comunità che sono vissute alla periferia di un potere, quello di Bologna, e di due aristocrazie storiche: il granducato di Toscana e il Ducato del Montefeltro con la centralità culturale, artistica e politica di Urbino; anche questa una area di confine, di cui oggi per molta parte compresa nella provincia di Rimini (che peraltro risente molto del suo passato di centro importante del Montefeltro). La Romagna è quindi un territorio di confine, da sempre rafforzato dal mare Adriatico e da tutto ciò che nel bene (i traffici veneziani) e nel male (le razzie dei pirati dell’altra sponda) ha rappresentato. Come territorio di frontiera, ha una identità antropologica e culturale forte. E’ una popolazione caratterizzata dalla mobilità, supportata dalla via Emilia, dalla Flaminia e dalle strade storiche che legavano Faenza, Forlì, Cesena alla Toscana; è un insieme di comunità aperte alle diverse culture, una terra ospitale e, sotto il profilo infrastrutturale e produttivo, ha alcune caratteristiche forti come le imprese cooperative in settori dove si esercita una leadership europea per non dire mondiale, a cominciare dall’agro-alimentare”.
  2. “La società dei consumi ha fatto scomparire le differenze storiche e la “piadena rumagnola” oggi viene prodotta e consumata anche in Cina! Tuttavia ci sono delle specificità nei valori e nelle rappresentazioni, che si dovrebbe tutelare. Anzitutto la dimensione di comunità che continua a manifestarsi nei borghi, nelle frazioni/parrocchie, nelle medie e piccole città che si collocano sulla e fuori la via Emilia e che risponde a un bisogno. In Romagna non si ama la grande città: tutto e tutti devono essere riconoscibili, le relazioni sociali sono la risorsa che sta alla base della fiducia come valore diffuso, ed anche della furbizia e della scaltrezza che rappresenta un fattore non di negazione della comunità, ma di mobilitazione e cambiamento. Da Rimini, a Cesena, a Forlì, a Faenza, a Ravenna, sono tante le comunità terapeutiche e le esperienze famigliari che rappresentano una risposta oggettiva alle domande di aiuto, di tutela, di reinserimento dei giovani nella vita sociale. La dimensione della mutualità si espressa concretamente nella impresa cooperativa, un’esperienza diffusa nell’intera Romagna, che ne rappresenta in un certo senso un modello imprenditoriale vincente. Queste imprese, radicate nel territori ma anche capaci di interagire con i mercati globali, con la crisi non hanno licenziato, ma hanno addirittura assunto lavoratori, soprattutto giovani”.
  3. “Il decreto governativo che provvedeva alla soppressione di una quota non irrilevante di Province, anche romagnole, è calato in un contesto dove le ragioni di riduzione della spesa pubblica e di semplificazione della macchina amministrativa pubblica erano già chiaramente avvertite come esiti da perseguire per il bene di tutti. Perciò la Romagna come unica provincia si deve fare, accompagnata da un altro provvedimento che la Regione ha già disegnato: l’integrazione dell’intero sistema sanitario nella unica Asl della Romagna. Allo stesso modo sono auspicabili altri provvedimenti sull’unificazione degli organismi che si occupano della gestione dei territori marini e montani, ed altri settori dove la riduzione degli enti potrà solo produrre effetti benefici nella conduzione e gestione della cosa pubblica”.

ROBERTO BALZANI, storico e saggista forlivese oltre sindaco della sua città dal 2009. E’ uno dei primi sostenitori della Provincia Romagna

1. “A me pare che la Romagna non sia un’entità geografica, ma prima di tutto uno spazio culturale. I confini, del resto, sul versante occidentale sono sempre stati “ballerini” e sono stati stabilizzati fra fine Ottocento e inizio Novecento, dopo una fase di riscoperta collettiva delle tradizioni, della storia e del folklore. Un’operazione che altrove, in Italia, è stata condotta con minor successo”.

2. “Ormai credo nessuno, a parte la cadenza dialettale. Esiste una complementarità e una pervietà dei contesti urbani, resa più facile dalla rivoluzione dei trasporti nella seconda metà del Novecento, che rende la vita nei centri romagnoli di fatto intercambiabile”.

3. “Io credo che il problema dei romagnoli sia stato la chiusura municipalistica della classe dirigente, non l’autosegregazione dei cittadini nei rispettivi contesti, urbani o rurali che fossero. Credo che la Provincia unica possa, in questo senso, alterare in positivo un quadro di relazioni politiche francamente obsoleto, che ha dato la sensazione agli stessi romagnoli di una subalternità spesso più immaginaria che reale a Bologna e all’Emilia. E’ certo, d’altra parte, che se non si individuano grandi obiettivi collettivi verso i quali tendere, l’agire amministrativo si sfarina in sequenza di atti quotidiani senza apparente costrutto. Con la conseguenza che la Romagna appare poi priva di una visione comune”.