La moda “nascosta”

di Laura Carboni Prelati

Abiti dall’irresistibile appeal ammiccano dalle scintillanti vetrine dei negozi del centro assieme a scarpe dai tacchi kilometrici impreziositi di strass e borsette o trousse degne di una regina degli emirati. Li ammiriamo nelle boutique delle griffe più in voga perché sono capi preziosi, li desideriamo perché sono modelli originali sia nelle linee che nei tessuti, classici o di ultima generazione (hight-tech) e mentre ne apprezziamo rifiniture e dettagli, li acquistiamo perchè l’abito, assieme ad accessori e calzature, rappresenta uno status symbol, il mezzo per esprimere la propria personalità o per leggere negli altri eleganza e temperamento.

Basta uno sguardo

Nel “sistema moda” è importante seguire le tendenze, prevederle, e stabilirle fa parte del linguaggio dello stilista; egli si esprime con estro nel modo che gli è più congeniale dando corpo ad un’idea, creando un suo style in una parabola perfetta che, nel capo eseguito, racchiude la professionalità di un variegato entourage.“Il settore della moda -diceAlessandro RaponeCNA – è composto da una complessa filiera produttiva e rappresenta uno dei comparti forti dell’economia italiana che purtroppo, da anni, sta scontando la crisi sul mercato globale. C’è stato un generale e radicale cambiamento dell’apparato industriale che, per non scomparire, si è miniaturizzato in una miriade di aziende al servizio più che dell’industria, di un nuovo modo di concepire, in termini di imprese e addetti, il prodotto manifatturiero. Sono nate attività artigianali che interagiscono in modo sempre più stretto, come un fitto tessuto di piccole imprese parallele, che consta di laboratori e ditte specializzate in una o più fasi del processo produttivo, che lavorano prevalentemente per conto terzi”.

Nel complesso, nonostante la tendenza di alcune grandi fabbriche a delocalizzare la produzione nei mercati emergenti (per sfruttare i bassi costi di lavorazione) questo nuovo Sistema Moda permette di garantire un’elevata qualità della manifattura a marchio Italiano.“Purtroppo c’è stato un ridimensionamento- precisaRoberta CeroniCgil- ed anche la scomparsa di molte piccole imprese specializzate solo in alcune fasi del processo produttivo, questo perchè non hanno sopportato i costi di gestione, l’acquisto di nuovi macchinari o non hanno avuto nessun finanziamento. C’è chi, per lasciare aperta l’azienda, si è indebitato all’inverosimile e, così facendo, si è stretto ancor più la corda al collo. Per fortuna qualcuno si è riorganizzato approntando un rinnovamento strategico per poter essere di nuovo competitivo. Per sopravvivere, alcuni terzisti, specializzati in una o più fasi della lavorazione, stanno diventando a loro volta committenti, aspetto che permette loro di acquisire interi processi produttivi. La capacità di offrire soluzioni, di risolvere problemi, sgravare le imprese committenti di alcune funzioni di minor valore aggiunto è una delle dimensioni del cambiamento in atto nel mercato del terziario”

Sono davvero “piccole” le imprese terziste?

“In certi casi la produzione viene segmentata in nicchie ad alto livello di specializzazione- diceAlessandro Rapone CNA – che si concentrano sulla produzione di singoli componenti del prodotto finale”. E’ il caso di Sarashine, una  piccola azienda con marchio proprio (due dipendenti, più la titolare e il creatore d’immagine/capo stilista Francesco) di Villa Sara, che lavora sia in c/to proprio che c/to terzi. “Ho intuito che dovevo rischiare – dice Francesco – e l’intraprendenza finora mi ha premiato; devo molto a Sara che lavora in questo settore da 20 anni, infatti, dopo soli 3 anni presso questa azienda ho potuto sfruttare le mie capacità grazie ad un canale esclusivo che è anche una particolare “nicchia”di mercato, quella del lusso. Ho creato rifiniture, cuciture, applicazioni e profili, che eseguo rigorosamente a mano, per capi particolari. Ho ideato dettagli importanti per pezzi unici, per rifinire sia manufatti in pelle che calzature o scarpe per grandi griffe”- Qual è il suo cliente più importante?-“Donatella Versace mi ha chiesto, per un giubbotto in pelle che dovrà sfilare a Parigi a fine Febbraio, una lavorazione extra lusso con galvanizzatore. L’apparecchio mi permette di trasferire e imprimere metalli nobili e preziosi come palladio, rutenio, platino e oro, sui capi che lavorerò e questo in particolare, avrà una lavorazione speciale con bordi profilati per mezzo di una catena diamantata. La manequinn sfilando sulla passerella, farà ondeggiare i profili dando l’idea di magici giochi di luce che si muovono, uno spettacolare effetto ottico!” E se grandi griffe come Versace o vip come Carmen Russo (bustino) si sono affacciate all’orizzonte assieme a Cesare Paciotti e Le Silla (scarpe per Lady Gaga e Shakira), altri mercati esteri bussano da Sarashine comela griffe Paul Smithche ha commissionato cinture in pelle; Disquared ha ordinato delle speciali“griglie metalliche”da agganciare al collo di impalpabili abiti in chiffon nero”.

In questo caso, ideazione, creatività e realizzazione sono fattori determinanti di successo, caratterizzati da competenze e dotazioni strategiche complementari.

L’ennesimo grido di dolore: le banche non fanno credito!

Vi sono ditte in cui si attuano solo alcune fasi produttive, quali il taglio dei tessuti o le attività legate allo styling. Sentiamo Guglielmina Gamboni, titolare del laboratorio SMASH di Rimini:“Abbiamo iniziato l’attività nel 1977 creando modelli e cucendo abiti; oggi abbiamo un marchio nostro e un laboratorio con 6 dipendenti. Io seguo tutte le varie fasi del lavoro: facciamo giacche, pantaloni, maglie, abiti in tutti i tipi di tessuti per tutte le stagioni. Ultimamente c’è stata una notevole contrazione negli ordini con punte superiori al 20% -Avete ricevuto finanziamenti?- Pochissimi! Tempo fa CNA si rese garante presso la banca per il 50% dell’importo che avevamo richiesto, avevo anche la garanzia della Regione, la proprietà del laboratorio, la casa, ma la banca non mi fece credito, è una vergogna! Oggi abbiamo investito in nuovi macchinari perché, se non stai al passo, sei tagliato fuori; qui occorrono sofisticati computer, il plotter, lo stenditore, servirebbe anche un apparecchio per il taglio laser, ma costa 150mila euro!”- Ma chi lavora in conto proprio può scegliere tessuti, disegnare modelli, aggiungere un tocco di stile…-“Certo, però dobbiamo sottostare a scelte dettate da altri.La Cinaha acquistato ogni tipo di merce e ha invaso il mondo con le sue mercanzie di qualità scadente; in Italia i tessuti sono d’importazione per almeno l’80% e vengono commissionati in oriente. L’alta qualità del prodotto italiano è ormai sparita; la viscosa nazionale non si trova quasi più perché è stata sostituita dal poliestere (sintetico) che non prende benela stampa.La Cinasi è accaparrata anche l’asta mondiale della lana, e anche questo è un brutto segnale. I grandi marchi hanno già allungato lo sguardo altrove: in Cina un operaio costa 200/220 euro al mese mentre in Bangladesh ne costa 30. Penso a me, che per mantenere il Made in Italy, faccio i salti mortali! Nel laboratorio faccio i modelli, preparo per il taglio, taglio e poi mando a confezionare in piccoli laboratori ma anche qui a Rimini, alle macchine da cucire, ci sono le cinesi…”

Si vivacchia, potrebbe andare peggio!

C’ è chi produce esclusivi capi in pelle conto terzi pur avendo una pellicceria. E’ il caso di Andrea Amadei che, nel laboratorio Jadei, confeziona giacche, gilet, giacconi, giubbini dalle geometrie radicali che incarnano l’essenza della moda inglese più avant-guard e spesso compaiono su Vogue o Vanity Fair.“In questo settore c’è stata una brusca frenata; gli utili si sono ridotti tant’è che ora siamo in3 alavorare in ditta, 2 sarte ed io che spesso faccio turni di 10/12 ore al giorno per risparmiare sul personale altrimenti non potrei tenere aperto. Il nostro è un target qualitativamente alto e ho il previlegio di eseguire capi ben rifiniti per alcune grandi griffe, ma l’alta moda è fatta di piccoli numeri per cui il ritorno è modesto. Inoltre le banche, col loro atteggiamento, stanno negando ogni forma di sviluppo alle piccole aziende comela mia. Perfino Unifidi(l’azienda di credito di CNA e Confartigianato) ci nega un finanziamento, così non posso investire nel mio lavoro che è anche il mio futuro, visto che sono giovane. Le Banche non possono comportarsi così, abbiamo veramente toccato il fondo!”

Vi sono altre ditte che, arricchite dall’ausilio di studi stilistici, sono in grado di garantire quel contenuto moda di alto livello nel quale riconosciamo buon gusto e qualità. E’il caso di Moment’s di Severi Antonio, un piccola azienda che tratta maglieria femminile.“Facciamo maglie in lana merinos, cachemire, pura lana, viscosa, cotone, con filati di qualità per un target medio-alto. Abbiamo iniziato nel 1978 io, mia moglie e un parente, insieme abbiamo accresciuto il lavoro e le cose andavano abbastanza bene visto che avevamo 10 dipendenti. Poi il tracollo negli ultimi anni; c’è stata una contrazione spaventosa degli ordini (40/50%) e ora siamo rimasti in tre più 2 lavoratori dipendenti. Piange il cuore vedere che non abbiamo sbocco; cosa ci mettiamo a fare adesso, a 60 anni? Che lavoro lascierò a mia figlia? Quando era piccola sognava di intraprendere questo mestiere! Se almeno potessi lavorare per qualche griffe importante, qui a Rimini alcuni lo fanno, così avrei almeno un ritorno d’immagine e qualche utile perché adesso di guadagni non ce ne sono, teniamo aperto per non chiudere…”-Ma le Banche…-Guardi non me ne parli. Mi sono stancato, noi dobbiamo avere accesso al credito; loro non sono più banche, sono diventate finanziarie e le finanziare non si espongono, fanno esclusivamente i loro interessi!”.