La Grecia e l’infausto rigorismo Merkel-germanico

In Grecia si sta giocando una partita importante, per i sui cittadini ma anche per il futuro dell’Europa. Di conseguenza per tutti noi.  Perché se fino ad oggi, magari sorvolando su alcune questioni di stile e di redazione di qualche bilancio (ma bisognerebbe anche parlare delle omissioni di chi era chiamato a controllare e lo ha fatto male), ha prevalso comunque la scelta  di INCLUDERE, cioè di portare dentro, da qui in avanti potrebbe iniziare la fase delle ESPULSIONI  o  dei respingimenti, che rappresenterebbe una radicale inversione di marcia e la negazione del commino compiuto dall’Europa nell’ultimo mezzo secolo, buttando alle ortiche la stessa idea di Europa immaginata i padri fondatori (Spinelli, Schuman, De Gasperi, Monnet, ecc.).

Se capitasse, sarebbe un precedente, una eventuale esclusione magari mascherata da auto-ritiro, gravissimo perché rappresenterebbe una minaccia, che oggi può colpire la Grecia, ma domani, chissà, potrebbe toccare ad altri, a cominciare dai Paesi del Mediterraneo sotto tiro come il Portogallo, la Spagna e l’Italia.

Non si discute qui della necessità che i bilanci pubblici, come quelli privati, siano in ordine e che i debiti vadano pagati, ma che questo possa avvenire da un anno all’altro e soprattutto che questo sia l’unico criterio per decidere, in pochi mesi,  il destino di una nazione e di riflesso dell’intera costruzione europea. Chi pensa questo e non tiene conto del valore, in un mondo globalizzato dove l’Europa rappresenta appena il 7% della popolazione mondiale,  dell’unione di popoli, culture ed economia  diverse, che sono  la vera fonte di ricchezza di un continente, ha la mente  offuscata  da un rigorismo ideologico e senza prospettive (per intenderci, il Giappone ha un debito del 200% del Pil, ma nessuno ne ha chiesto il commissariamento).

Che poi i sorvegliati speciali siano i Paesi del Mediterraneo, quasi che a Nord fosse tutto in ordine e le loro economie  potessero crescere e prosperare senza i mercati del Sud Europa, è una ulteriore dimostrazione di scarso realismo. Lo provano i 1.300 miliardi di euro del saldo commerciale  (differenza tra merci esportate e importate) accumulato dalla Germania, dal 2002 al 2011, con i 26 paesi dell’Unione Europea (UE), di cui 263 miliardi con la Francia, 178 miliardi con la Spagna, 158 miliardi con l’Italia e perfino 45 miliardi di euro con la Grecia, che è poco meno di quanto la UE ha messo a disposizione di questo paese (53 miliardi) per cercare di dargli una mano (Affari&Finanza di Repubblica del 18 giugno 2012).

La Germania, contrariamente a quanto vuole far credere, non brilla nemmeno in aiuti perché i suoi 114 miliardi di euro, che per metà sono garanzie e non fondi contanti, sono solo il 4,4% del suo pil, quando Malta mette a disposizione il 6,5%, la Slovenia il 5,2%, l’Italia il 4,8% e la Spagna il 4,7%.

Quando poi scopriamo che la tensione sui mercati finanziari sarebbe causata da un paese come la Grecia che ha un Pil pari al 2,1% di quello dell’eurozona (formata dai 17 Paesi che hanno adottato l’euro) e con un debito di circa 300 miliardi di euro (quello dell’Italia sfiora i 2 mila miliardi di euro e quello della Germania lo supera) che rappresenta appena il 4% del debito complessivo della stessa eurozona, c’è da chiedersi se chi dirige le sorti dell’Europa,  a cominciare dal Governo tedesco,  siano veramente all’altezza della situazione.

Per avere una idea delle proporzioni basta sapere che il Pil della Germania vale il 28,4% dell’eurozona, quello della Francia, secondo paese, il 21 % e l’Italia, terza, il 16,6%.

Quasi identica la ripartizione del debito pubblico dell’eurozona: la Germania ne detiene il 26 %, l’Italia il  23, la Francia il 21 e la Spagna il 9%.

Come si vede la Grecia, all’interno dell’eurozona,  ha percentuali di Pil e di debito relativamente modesti, che non dovrebbe essere un problema gestire con ordine e ragionevolezza, senza affamare e umiliare i suoi cittadini con condizioni capestro.  Al contrario viene additata come la causa prima della crisi dell’euro e costretta, per redimersi,  ad una sorta di rito espiatorio a base di misure lacrime e sangue.  Una punizione (che ha più un sapore religioso che logico) che invece di aiutare l’economia a risollevarsi, che poi è  la condizione prima per ripagare i debiti, sta spingendo la Grecia in una recessione senza fine, con la disoccupazione già salita al 22%.   Se qualche paese dell’eurozona, e le banche che hanno prestato denaro,  sperano, in questo modo, di riaverli indietro forse stanno facendo male i loro calcoli.  Come esempio sul da farsi qualcuno cita il caso dei Paesi baltici, come la Latvia, che dopo dure misure di austerità, fatte di tagli ai salari, flessibilizzazione (precarizzazione) del lavoro, tasso di disoccupazione salito al 20%  e perdita di un quinto del Pil in due anni,  è tornata a crescere a ritmi sostenuti.  A parte che stiamo parlando di un piccolo paese di 2 milioni di abitanti,  il problema è quanto tempo ci vorrà per recuperare il terreno perso e tornare, semplicemente, alla posizione di partenza. Forse si potevano percorrere, come tanti suggeriscono,  strade diverse senza dover imporre ai propri cittadini sacrifici esasperati. Perché in fondo, non dimentichiamolo, è l’economia che deve servire le persone, non il contrario.