La crisi a Rimini: la caduta è finita, ma la ripresa è fragile

Un clima di attesa è quello che si respira girando per le imprese del nostro territorio: la discesa è finita, dicono in tanti, ma la ripresa è ancora fragile e incerta. Una instabilità che non facilita gli investimenti, anche quelli programmati. Nessuno però, almeno tra i nostri interlocutori, si è seduto ad aspettare gli eventi, e chi più chi meno tutti stanno reagendo mettendo in campo nuove iniziative. Coro invece abbastanza unanime nel sottolineare che molto difficilmente si tornerà ai livelli di produzione, quindi di occupazione, pre crisi prima di quattro-cinque anni. La transizione quindi sarà piuttosto lunga.

Questo mese il nostro tour inizia con Adriaplast, con una storia più quasi quarantennale, sede nell’area artigianale di Santarcangelo, settore di attività termo formatura. In pratica produce packaging (confezioni) per alimenti (tipo vaschette in plastica per lo stracchino, il mascarpone e simili) ed industriale (dai porta saponette ed altri prodotti di cosmesi, alle custodie per camice, altoparlanti, componenti per fornelli a gas, mattonelle di ceramica di pregio, ecc.), utile soprattutto per proteggere le merci durante la loro movimentazione.

L’azienda è fiera, ed è Valeria Piccari, una delle titolari, a mostrarcelo con orgoglio, di aver da poco ricevuto, a fine ottobre, a Milano, in occasione di una giornata organizzata da Sodalitas (Organizzazione no profit che si occupa di responsabilità sociale d’impresa) su come gestire la diversità in azienda, il Premio nazionale per le buone pratiche aziendali di integrazione dei lavoratori stranieri, nella categoria piccole imprese. Il motivo è presto detto: su dieci dipendenti (gli altri cinque sono familiari) 4 sono albanesi, di cui 3 donne, ed una romena. Cioè la metà sono immigrati. A loro, come al resto dei dipendenti, da quasi un ventennio l’azienda consente di lavorare con orario unico della 7 di mattino alle 15 del pomeriggio, con una breve pausa pranzo compresa nell’orario di lavoro, in modo d’avere tutto il resto del pomeriggio libero per se e per la propria famiglia. Un orario che va bene anche ai trasportatori, perché consente loro di utilizzare, per caricare e scaricare la merce, le ore della pausa pranzo, quando tra l’altro c’è meno traffico, che altrimenti sarebbero ore perse.

A proposito di recessione e lavoro, la crisi pare abbia prodotto qualche piccola novità: tanti locali, compresi molti ragazzi, che in passato chiedevano di fare la stagione, e che in un certo momento sembravano scomparsi, adesso cominciano a tornare.

Renzo Imola, incaricato della parte commerciale, nonché Presidente della Confartigianato di Santarcangelo, ci dice che la crisi ha inevitabilmente colpito anche loro, per effetto della caduta di domanda delle imprese committenti. E cita il caso di un importante gruppo, con sedi anche all’estero, che produce altoparlanti: “E’ un anno e mezzo che non ci chiede più niente. Prima producevamo fino a 160 mila contenitori copri altoparlanti al mese, più di un milione e mezzo l’anno. Poi più niente. Solo di recente si è rifatto vivo ordinandoci 60 mila pezzi da consegnare entro novembre. Il salto è evidente. Per non parlare di Iris ceramiche di Sassuolo (Modena), altro nostro cliente, che addirittura ha rischiato di chiudere”.

Poi, come se non bastasse, l’Azienda si trova a dover fronteggiare un nuovo concorrente costituito dalle grandi ditte di termo formatura, prima della crisi poco interessate a partite di 2-3 milioni di pezzi, ma che oggi non rinunciano a niente.

Sommato a qualcuno che ha copiato (si copia anche in Italia e non solo in Cina !) qualche contenitore, che non era brevettabile, riuscendo a strappare perfino qualche cliente, ed un paio che hanno difficoltà a pagare, cosa che non accedeva da tempo, il quadro degli effetti lunghi della crisi ci sono tutti.

“In ogni caso, prosegue Imola, noi non abbiamo mai rifiutato nessuna commessa, e avendo differenziato il parco clienti, possiamo dire che alla fine chiuderemo il 2009 con lo stesso fatturato del 2008, alla peggio con un piccolo calo”.

Ha aiutato questo risultato la sostanziale tenuta, si stima un calo del 2-3%, del packaging alimentare, perché comunque qualcosa bisogna mangiare, e lo stracchino è forse quello che costa meno. L’Aziende produce per il mercato nazionale, principalmente del Centro-Nord, ma diversi clienti impiegano i suoi contenitori anche per esportare.

Nel frattempo Adriaplast sta sperimentando, per una ditta di Teramo che opera nel mercato del pesce di San Benedetto del Tronto, un nuovo contenitore per il pesce surgelato e i sughi pronti surgelati. Se le prove daranno esito positivo la produzione, per un ordine di 12 milioni di pezzi, potrebbe partire con l’anno nuovo.

Poco distante, nella stessa zona artigianale, incontriamo Alberto Brighi, già Presidente di Confapi, e titolare della omonima ditta Brighi srl. specializzata nello stampaggio ad iniezione di materiali plastici per svariati settori merceologici: articoli tecnici, estetici (oggettistica), per la grande distribuzione (contenitori), ecc.

Con un mercato costituito prevalentemente da una clientela regionale, alla fine del 2009 si attende un calo di fatturato del 25% circa. Che si ridimensionerà ad un meno 15% con la progettata fusione con la Almec, stampi di materie plastiche e gomma, di proprietà dello stesso Brighi, che al contrario ha incrementato il proprio volume d’affari.

“Per il momento, ci dice Brighi, l’unica cosa certa è che abbiamo finito di scendere. Qualche cliente ha difficoltà a pagare e non accadeva da tempo. La ripresa è ancora incerta, e in ogni caso il mercato è schizofrenico, si naviga a vista. Si intravede qualche spiraglio di miglioramento, ma non c’è stabilità. Per tornare alla situazione precedente alla crisi ci vorranno 5-6 anni. Tutti i dipendenti hanno mantenuto il loro posto e non c’è stato nessun ricorso alla cassa integrazione. Quando abbiamo avuto qualche bisogno particolare ho preferito prendere un paio di lavoratori interinali”.

La risposta alla crisi, perché anche in momenti di difficoltà è vietato fermarsi, procede su tre fronti: messa in cantiere di nuovi prodotti, in particolare in campo termo sanitario (raccordi, giunti di transizione, ecc.), con un livello tecnologico abbastanza alto da impedire l’entrata di eventuali concorrenti a basso prezzo, ed ampliamento della gamma dei corrimani, così da coprire tutte le esigenze della clientela; fusione e riorganizzazione delle due aziende citate, con la costruzione di un nuovo capannone al lato dell’attuale sede della Brighi; ricerca di nuovi mercati, anche esteri, a cominciare dall’Europa.

Certamente in questa situazione il ruolo delle banche è importante ma, prosegue Brighi “si nota, anche se non è il mio caso, una certa freddezza nella concessione del credito e c’è poco sostegno alle imprese perché possano uscire dal tunnel. Con le banche locali va un po’ meglio, ma potrebbero fare molto di più in luogo di farsi concorrenza a vicenda. In ogni caso non si finanziano nuove idee e progetti”.

Poi Brighi lamenta i disservizi procurati da Telecom e da Enel, nella concessione di nuove linee telefoniche la prima e per la fornitura di energia la seconda. Disservizi complicati da risolvere per mancanza di interlocutori sul territorio e per il muro di gomma frapposto dai vari call center. Ci vorrebbe un intervento delle istituzioni e delle associazioni più deciso. Perché un disservizio è un costo per l’azienda.

Tecnoma la si incontra lungo la via Marecchiese, all’altezza di Sant’Ermete, e produce bordatrici e foratrici (macchine per il legno) automatiche. Fondata nel 1998 da Ezio Stefani, dopo aver maturato una esperienza ultra ventennale con il Gruppo SCM, e con un mercato quasi totalmente estero (esporta il 95% del fatturato), Tecnoma ha cominciato a sentire i primi riflessi della crisi nell’ottobre del 2008. La produzione, che in tempi normali raggiungeva circa 500 macchine l’anno, si è quasi dimezzata (nel suo insieme il settore delle macchine per il legno è andato anche peggio). “La cosa straordinaria, ci dice Stefani, è che crisi degli ordini è stata repentina e globale. Un blocco generalizzato che ha colpito tutti i paesi. Non si era mai visto”.

Un calo della domanda così pesante da costringere l’Azienda a dover fare ricorso, per una ventina di dipendenti, alla cassa integrazione ordinaria, che si interrompe, ma non per tutti, quando c’è qualche ordine da soddisfare.

Da settembre si nota qualche timido segnale di ripresa, soprattutto in mercati come il Canada, l’Australia e qualche paese dell’Est. I rivenditori hanno esaurito le scorte, e cercano di ricostituirle, ma giusto lo stretto necessario. Tutti si mantengono cauti perché la ripresa non è stabile.

Alla recessione Tecnoma sta rispondendo con due misure: la prima, con controllo spasmodico dei costi aziendali, la seconda, mettendo in cantiere nuovi modelli di macchine, tecnologicamente più sofisticate (nell’Ufficio tecnico sono all’opera due ingegneri). Un modo per alzare le barriere di entrata perché i cinesi già qualcosa gli hanno copiato. Nuove macchine, tuttora a livello di progettazione , che se tutto andrà per il meglio usciranno la fine del 2010, “perché per fare una nuova macchina, buona e affidabile, spiega Stefani, checché se ne dica, ci vogliono almeno due anni”.

Per un’azienda che lavora quasi esclusivamente per l’estero (diverse macchine vanno persino in Iran, dove addirittura gli è stato chiesto di aprire una fabbrica) conta il sostegno delle istituzioni preposte all’internazionalizzazione delle nostre aziende? “Molto, prosegue Stefani, ma purtroppo noi non riusciamo a fare sistema. Dovremmo imparare dai tedeschi”.

Infine un elogio alla scuola dei Periti turistici per la formazione in campo linguistico: ha assunto due ragazze, provenienti da quell’Istituto.