La Carim per quale sviluppo ?

L’affare Carim, che il 27 settembre riunirà l’assemblea dei soci per decretare il definitivo atto finale del commissariamento, vede in campo molti attori ma poche idee. Perché c’è una domanda a cui nessuno, fino a questo momento, ha cercato di dare una risposta, ed è forse quella che più interessa gli attori economici e i cittadini: quale sarà la politica bancaria che la nuova Carim metterà in campo, in una situazione così difficile per le imprese, le famiglie  e l’occupazione ?  Politica bancaria che non può prescindere da una idea di sviluppo, cioè di futuro, che la Fondazione e la Banca devono, anche implicitamente, pure avere.  Non è una domanda di poco conto, perché  solo dalle risposte si potrà giudicare l’adeguatezza o meno del gruppo dirigente proposto.  La Fondazione, che detiene ancora la maggioranza del pacchetto azionario Carim, avrebbe dovuto porsi questa domanda e cercare di offrire delle risposte.

Per non perdere la memoria dei fatti e delle responsabilità

Come un piccolo promemoria ripercorriamo le tappe salienti di come si è arrivati al commissariamento e alla situazione attuale. Tutto inizia con un decreto del Ministero dell’Economia che in data 29 settembre 2010, su proposta della Banca d’Italia,  “ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della Banca CARIM, Cassa di Risparmio di Rimini Spa, e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative, gravi perdite patrimoniali nonché per gravi inadempienze nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento del gruppo bancario, con particolare riferimento alla controllata Credito Industriale Sammarinese (CIS)”.

Non sono proprio accuse leggere, per la principale Banca del territorio e il suo gruppo dirigente (nel CdA siedono i rappresentanti di molti settori dell’economia e delle professioni locale che contano) dove controllori e controllati spesso si scambiavano ruoli e posizioni (oltre a condividere, molti, una comune adesione ai vari Rotary locali).

Tra le irregolarità riscontrate da Bankitalia ci sono crediti erogati senza le necessarie garanzie (emblematico l’affidamento di 15 milioni di euro al Gruppo Merloni, in cambio da un terreno già espropriato, che i funzionari Carim però scoprono solo tre anni dopo) e pratiche di finanziamento (circa ottocento) a  tassi di interesse al limite dell’usura. Un bel contributo all’economia del territorio.

Risultato di questa “irregolare” gestione: la CIS fu comprata, nel 2005, da Carim per 11 milioni di euro e in soli cinque anni ha accumulato perdite per 48 milioni di euro. Tra gennaio 2010 e settembre 2011 in Carim  sono emerse perdite per  229 milioni di euro, ascrivibili al deterioramento dei crediti (245 milioni di euro) ed alla completa svalutazione della partecipazione di controllo nel Credito Industriale Sammarinese, che alla fine  è stata venduta  per 35 milioni di euro.

Le azioni Carim, che a settembre 2010 valevano 21 euro, nel mese di novembre dello stesso anno precipitarono a 11,95 euro, quasi la metà.  Non proprio un bel “regalo” per gli oltre sette mila azionisti della Banca.

A questo punto per rimettere in piedi Carim, che vuol dire rifinanziarla, servono denari, tanti denari: 118 milioni di euro (per intenderci circa un quinto del fatturato della principale azienda del territorio). La Fondazione sborserà  23 milioni, che le consentirà comunque di mantenere  la maggioranza (inizialmente del 70 per cento), mentre il resto andrà cercato sul mercato, che alla fine sottoscriverà 75 milioni di euro (le azioni sono state offerte al prezzo di 5 euro e 35 centesimi), qualcosa in più dell’obiettivo minimo di 67 milioni di euro. Non bastano per  arrivare a 118 milioni e per la parte mancante si parla di un prestito obbligazionario.

Ma le ricadute negative dell’affare Carim non si fermano qui, perché la Fondazione, che vive degli introiti della sua partecipazione alla banca omonima e con questi finanzia diverse iniziative sul territorio,  si è trovata con le casse semi vuote, proprio nel bel mezzo della peggiore crisi degli ultimi decenni, quando sarebbe stato utile avere qualche risorsa in più da spendere.

Invece gli investimenti della Fondazione passano da 5 milioni del 2009  a 3,5 milioni nel 2011, per scendere ulteriormente  a  2,9 milioni nel 2012.  Così saltano, insieme, la costruzione dell’Auditoriam, il fossato di Castel Sismondo e il contributo al Teatro Galli, mentre è stata annunciata la sospensione, a data da destinarsi, del ciclo delle mostre, nonostante il buon successo ottenuto e che avevano inaugurato una stagione nuova per il turismo culturale riminese.

Questo accade mentre a pochi chilometri, il Comune di Forlì e la locale Fondazione Cassa di Risparmio annunciano la prossima esposizione, in linea di continuità con le precedenti, dedicata al Novecento. Fondazione che quest’anno investirà  nel suo  territorio oltre 7 milioni di euro, cioè più del doppio di quella di Rimini, prevedendone  7,8 milioni nel 2013 e 9 milioni di euro nel 2014.

Questi sono, per così dire, i danni collaterali provocati da questa storia, che sarebbe utile non dimenticare per trarne i dovuti insegnamenti.

La Carim  e lo sviluppo locale

Siamo entrati nel quinto anno di crisi e la situazione economica e sociale locale presenta molti  punti di criticità: scarso numero di imprese, ma che per fortuna ci sono,  in grado di competere sui mercati nazionali e soprattutto internazionali, anche per la loro dimensione troppo ridotta; deficit di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali (esempio la banda larga) che spesso limita la competitività territoriale; costante perdita di posti di lavoro, e quelli che ci sono sempre più precari; assoluta mancanza di opportunità per i giovani (uomini e donne),  che da qualche anno, sempre più numerosi,  si sono visti costretti ad emigrare all’estero, privando il territorio di risorse umane e competenze tra le più qualificate.

Se come scrive “The Global Talent Index Report: The Outlook to 2015” il “talento rimane una componente importante della competitività di lungo periodo dei Paesi e delle imprese”, perderli non è un bel inizio.

La Fondazione e la Banca come intendono, ovviamente non da soli, rimediare a queste criticità ?   Cosa hanno da offrire alle imprese che vogliono crescere, innovare e competere, ma anche ai tanti giovani senza prospettive ?  Sosterrà l’imprenditorialità giovanile e femminile, valutando la bontà dei loro progetti d’impresa senza chiedere la garanzia dei genitori (acuendo le differenze di censo) ?  Concederà mutui per la prima casa alle giovani coppie e a quelle immigrate,  anche se non potranno contare su un lavoro stabile ?

Sono queste solo alcune domande a cui la Fondazione, come azionista di maggioranza, e in seconda battuta la Banca, avrebbe dovuto dare una risposta prima di ogni altra cosa.

Ultime dalla Banca d’Italia

 “In varie occasioni l’Istituto ha richiamato l’attenzione su aspetti ancora problematici: da ultimo ci siamo soffermati sui costi connessi con assetti di governo pletorici e eccessivamente articolati, che vanno semplificati; su dinamiche dei sistemi di remunerazione non coerenti con l’attuale fase congiunturale e non sufficientemente ancorati ai risultati di medio‐lungo periodo; su sistemi di rappresentanza nel board che non garantiscono un
adeguato controllo del management, soprattutto in alcuni comparti del sistema bancario (popolari quotate); sul ruolo chiave di amministratori indipendenti capaci e motivati. Non sono mancate critiche e resistenze all’azione correttiva della Banca d’Italia” (dall’intervento del Governatore Ignazio Visco al  convegno dedicato al Governo delle Banche, del 25 settembre 2012)