Fino al 2007, cioè fino allo scoppio della crisi, tutte le dichiarazioni Irpef delle province dell’Emilia Romagna tendevano verso l’alto. Poi l’ascesa si interrompe e si entra in una zona, costituita dagli anni 2007-2010, di quasi stazionarietà. Nel 2011 il reddito medio nazionale e dell’Emilia Romagna dichiarato, 19.655 euro il primo e 21.180 il secondo, è cresciuto poco, ma ancora non sono stati resi noti i valori provinciali, che presumibilmente si allineeranno a questa tendenza. Non crollo, ma incrementi reali, cioè al netto dell’inflazione, quasi zero.
Per gli anni precedenti, i redditi Irpef dichiarati dai residenti in provincia di Rimini seguono lo stesso andamento delle altre province emiliano romagnole, con l’unica particolarità di essere costantemente nel gradino più basso: 18,4 mila euro la dichiarazione media nel 2005, che diventa di 21,1 mila nel 2010, quando negli stessi anni Bologna, che presenta i valori più alti, sale da un pro medio 23,1 a 25,8 mila euro, mentre la media regionale passa da 20,9 a 23,6 mila euro.
Rimini la più povera ? Stando agli importi delle dichiarazioni sembrerebbe di si, ma altri indicatori di ricchezza raccontano un’altra storia (per esempio, ammonta a 19 mila euro il deposito bancario di ciascuno residente in provincia di Rimini, superando in questo caso la media regionale che è di 17 mila euro).
L’ultima posizione di Rimini tra le province regionali dipende dalle cifre dichiarate (e su cui si paga le tasse) ma anche da una minore propensione alla dichiarazione Irpef: se infatti a Bologna, nel 2010, dichiarano di avere un reddito 63 residenti su cento e in Regione 61, a Rimini si scende a 56, che ancora una volta è la percentuale più bassa. Meno dichiarazioni e importi ridotti spiegano ampiamente il posizionamento fiscale della provincia di Rimini. Niente da dire se i numeri fossero veri, ma sappiamo che per tanti non è così. Una maggiore trasparenza nella spesa pubblica (con bilanci leggibili dal cittadino medio) e un fisco meno rapace e più ragionevole forse potrebbe stimolare un maggior tasso di adesione, che poi non sarebbe altro se non la propria quota di partecipazione per avere il diritto di accesso a tanti servizi pubblici (sanità, scuola, ecc.).