In vino… amara veritas

di Domenico Chiericozzi

Come sta cambiando la “geopolitica del vino” in Romagna? Nell’antico frutto (la cultura vitivinicola nel Riminese ha una tradizione millenaria) c’è sicuramente veritas. Ma il vitivinicolo è anche una settore dell’economia primaria, con interessi economici rilevanti e tanti finanziamenti pubblici. Dal 2007 – solo per citare il periodo più recente – le risorse pubbliche (europee, statali e regionali) in Emilia-Romagna sono state superiori a 190 milioni di euro e sono andate al rinnovo dei vigneti, alla modernizzazione delle cantine e alla promozione sui mercati esteri. In Provincia di Rimini al 31/12/2012 con il PSR 2007-2013 (Piano di Sviluppo Rurale) sono stati impegnati in Agricoltura (a bando su complessivi 3 Assi Competitività, Ambiente, Diversificazione) ben 21,5 milioni di euro. A questi vanno aggiunti anche i 35 milioni della politica agricola comune (PAC) erogati dal 2007 al 2012. Insomma, non si può certo dire che sia mancato il supporto al settore. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. La Provincia di Rimini oggi dispone di un cospicuo numero di prodotti d’eccellenza. Tuttavia lo scenario futuro non è rassicurante: le aziende del vitivinicolo rischiano di perdere un luogo di aggregazione “politico e istituzionale” strategico e che le decisioni, quelle più importanti, siano prese altrove.

Il futuro: assetto e scenari

I fatti che stanno rimettendo in gioco la “geopolitica”. Il primo. A fine 2012 si è dovuto procedere, per una disposizione di legge, alla soppressione del Consiglio Interprofessionale Vini “D.O.C. Colli di Rimini”. Istituito il 22 dicembre 1999 presso la Camera di Commercio, il Consiglio è nato dall’evento più significativo per la viticoltura locale: l’istituzione nel 1996 con decreto del Ministero della Denominazione di Origine Controllata (DOC) dei vini “Colli di Rimini”. Il secondo. Il Consorzio della Strada dei Vini e dei Sapori, che dal 2000 si occupa della promozione anche delle aziende vitivinicole, appare sostanzialmente “abbandonata” dai principali soci, eccetto la Camera di Commercio di Rimini. Terzo: A fine 2012 ha chiuso i battenti, strangolata dai debiti, la cantina sociale Le Rocche Malatestiane fondata nel 1994 dalla fusione di antiche cantine riminesi nate alla fine degli anni ’50. Quarto. Nonostante la provincia di Rimini sia “vocata” all’export e il territorio goda di produzioni di altissima qualità, il passivo della bilancia commerciale “agricola” mostra un segno meno quasi “inspiegabile”, pari a – 36,8 milioni di euro derivanti da 42,7 milioni di importazioni e 5,9 di export. Sul totale locale delle merci che varcano i confini si rasenta lo zero (0,4% sul totale). Grazie alla Camera di Commercio sono state intraprese tante iniziative per supportare lo sbocco sui mercati esteri. Tutti gli imprenditori del vino che abbiamo sentito ne hanno sottolineato l’impegno e il ruolo strategico. Ma è evidente che non è bastato.

L’export, il “tallone d’Achille”

La nostra analisi parte proprio da quanto si riesce a esportare che, se vogliamo, funge da cartina al tornasole. Sandro Bacchini della Tenuta del Monsignore nel Comune di San Giovanni in Marignano introduce il tema con un antefatto. “In Italia i consumi pro capite di vino diminuiscono sempre di più (siamo sotto la soglia dei 40 litri per persona, ndr) mentre la produzione aumenta quindi andare sui mercati esteri rimane una strada obbligata. La nostra è una realtà tra le più grandi a livello locale, eppure quando siamo sui mercati esteri siamo tra i più piccoli. Per esportare abbiamo fatto un tentativo molto mirato cercando di andare in un paese del Centro America, ma non è andata bene a causa di un cambiamento dell’assetto politico di quel paese subentrato in corso d’opera.” Risultato: export zero.

Carlo Panzeri, titolare dell’Azienda Agricola Fiammetta nel comune di Rimini, da qualche anno ha approcciato i paesi stranieri e attualmente porta fuori confine il 10% della produzione. Lui solleva un’altra criticità. “Abbiamo partecipato a diverse iniziative – spiega – ma in nessun caso abbiamo avuto riscontri poi così significativi. Adesso stiamo tentando con gli Stati Uniti. Il problema è che i buyers apprezzano il prodotto, ma alla fine non comprano. Forse sarebbe opportuno selezionare i compratori. Questa non è solo un’esperienza personale, lo sento dire da diversi altri colleghi. Così alle volte penso che quasi sarebbe meglio concentrarsi sul mercato interno e basta.”

“E’ una difficoltà che abbiamo – ci spiega anche Sandro Santini dell’omonima Tenuta a Coriano. Gli incontri con i buyers esteri ci sono, ma manca l’organizzazione a monte in modo che siano divisi per fasce di prodotto. Poi c’è il problema dei problemi. Se il posizionamento sull’estero lo fanno le grandi cooperative, a determinati prezzi, come spiegare ai clienti le sostanziali differenze delle nostre singole cantine? Si può anche fare, ma è un lavoro immane”. “Qualche cosa siamo riusciti a fare in Germania – ci racconta brevemente Barbara Muratori. Ma niente di significativo. Esportare rimane comunque un obiettivo, ma per il momento non siamo strutturati, così lavoriamo con il mercato interno e la vendita diretta”.

Insomma, esportare rimane difficilissimo. Che cosa fare? “Che io sappia – confessa con stupore Sandro Bacchini – non ci sono strutture alle quali aderire per la commercializzazione, se ci fosse la possibilità lo faremmo. Per esportare non basta certo andare a singole fiere.” Per Sandro Santini “oltre a quello che si sta già facendo, servirebbero iniziative per far conoscere il nostro territorio. Purtroppo noi non abbiamo un brand territoriale forte. Penso ai tanti ristoranti nel mondo gestiti anche da romagnoli. Londra ad esempio. Che cosa propongono ai loro clienti?” “Sarebbe opportuno che ci fosse un Consorzio costituito però da produttori che hanno gli stessi intenti” aggiunge Carlo Panzeri.

In Italia l’anno scorso – secondo un’elaborazione su dati Istat curata da Assoenologi (che rappresenta il 90% del mercato) – sono stati 21,2 i milioni di ettolitri andati a toccare le tavole in ogni angolo del mondo. Ad andare bene non sono stati solo i mercati a noi più vicini (Europa +4,5%) ma anche quelli definiti emergenti, dove invece il fatturato registra un balzo del +8,8%. In Emilia-Romagna il 2012 si è chiuso con un +15%, dell’esportazione dei vini regionali in numerosi mercati esteri. Allinearsi a questo dato potrebbe essere localmente un primo obiettivo.

La mappa della “geopolitica del vino”

A questo punto serve un piccolo viaggio nel tempo per introdurre un soggetto chiave. Siamo nel 1977 e per rendere tutti gli onori possibili e immaginabili al Sangiovese, proprio a Santarcangelo sul Monte Giove viene posto un cippo con la seguente iscrizione: “Qui sul colle che di Giove ha il nome, oggi 29 ottobre 1977, la Romagna dei vini e dei vigneti, recinge la fronte del nume con l’aureola del San-Giovese, rivendicandone con certezza di fede, la feconda primogenitura”. Una sorta di autocertificazione che lascerebbe anche il tempo che trova, se non fosse che presente in quell’occasione a “sigillare” l’evento c’era anche l’Ente Tutela Vini di Romagna. Forse poco noto al grande pubblico, ora sulla base di nuovi possibili scenari è probabile che diventi “di casa” anche con un ruolo di primo piano. Perchè l’anno scorso mentre a Rimini si dava l’addio al Collegio Interprofessionale della Doc Colli di Rimini, l’8 agosto dello stesso anno l’Ente di Tutela ottiene dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il prestigioso il riconoscimento “Erga Omnes”. Che, come spiegano gli stessi, permetterà all’Ente di “divenire il nodo delle decisioni e del coordinamento esclusivo di tutte le politiche di valorizzazione, oltre che di tutela, delle denominazioni d’origine controllata (DOC e DOCG) della Romagna dei vini”.

Nato nel 1962 e con sede a Faenza, ha numeri che fanno colpo: vi aderiscono 9  Cantine Cooperative, 80  Produttori, 10  Imbottigliatori, 4.890 aziende viticole. A completare il quadro della “geopolitica del vino romagnolo” a livello locale c’è già un’altra presenza, ed è la Cantina dei Colli Romagnoli. Nata ufficialmente il 9 giugno 2008 dalla fusione di Terre Imolesi e Copa, ha sede legale a Imola e a Coriano c’è già un vero e proprio stabilimento dove ogni anno si lavorano circa 85 mila quintali di uva. Nuova protagonista della viticoltura emiliano romagnola (così si legge sul loro sito), anche la Cantina dei Colli Romagnoli ha i numeri per far sentire il fiato sul collo: 2 mila soci su tutta la Romagna, una capacità di conferimento di uve di circa 500 mila quintali, un patrimonio di 28 milioni di Euro e un fatturato di oltre 15 milioni di Euro. Come se non bastasse la Cantina dei Colli Romagnoli è inoltre socia del gruppo Cevico, protagonista discreto ma decisivo della “geopolitica “,  un gigante, un centro nevralgico in Romagna, vero “disturbatore” dei piccoli produttori che invece hanno deciso di rimanere svincolati dalle logiche della grande cooperazione. Ma, guarda caso, è anche la stessa che ha rilevato il marchio Le Rocche Malatestiane che nel Riminese aggregava le istanze di 990 soci su 800 ettari di vigneti.

In sintesi. Venuto a mancare il Consiglio Interprofessionale e le Rocche Malatestiane, il campo sembra essersi fatto sgombro. I “competitors” storici, invece, si sono rafforzati. Che cosa succederà ora alle aziende locali? Quali nuove direzioni prenderanno? Ciascuno per la propria strada oppure nascerà un nuovo Consorzio solo per il “made in Rimini”? Datemi un punto d’appoggio e solleverò la Terra, disse Archimede. L’unico punto d’appoggio (inteso come luogo di aggregazione per le imprese sul versante della promo-commercializzazione)  è rimasto il Consorzio della Strada dei Vini  e dei Sapori. Al quale va riconosciuto il fatto di aver riportato in nero, dopo due anni di oculata gestione, i conti realizzando nel 2012 un utile di circa 26 mila euro da un passivo di 100 mila. Dimostrando, sul campo, di saperci anche fare. Per l’anno 2012 il Consorzio ha partecipato a 19 manifestazioni. Tra questi anche il Vinitaly piazzando 23 aziende locali nel contesto della più importante manifestazione enologica italiana. Purtroppo, a causa delle ristrettezze economiche dei soci (così si dice), l’unico soggetto pubblico che istituzionalmente continua ad appoggiare la “Strada” è la Camera di Commercio. Troppo, troppo poco.

Interpellato in proposito da Tre, il Segretario Generale della Camera di Commercio Maurizio Temeroli ha rassicurato sul fatto che continueranno a sostenere il settore, sviluppando tuttavia un ragionamento: “Il Consorzio rimane secondo noi l’organismo meglio preposto a svolgere il ruolo della commercializzazione. Ovviamente il nostro supporto non potrà compensare quello che potrebbe venire a mancare dagli altri enti pubblici.  A questo proposito va anche detto che dopo tanti anni è forse anche giunto il momento che il Consorzio svolga un’attività di commercializzazione importante, venda i propri servizi e si renda indipendente anche dal punto di vista economico. Per il resto la Doc Colli di Rimini non corre alcun rischio. La soppressione del Consiglio interprofessionale era inevitabile. Ma come prima chiunque potrà rivendicare la denominazione sottoponendosi a tutti i controlli previsti dal disciplinare. Oltre alla Doc, che comunque ha un valore spendibile sul mercato, le aziende potranno aggiungere a tutto questo tutte le proprie iniziative. ”

Un fatto è certo. La viticoltura riminese è a un bivio con decisioni che si faranno sentire nel lungo termine.

“Siamo sicuramente in una fase per cui un ciclo si è sicuramente chiuso – fa notare Valter Bezzi, presidente della Confederazione italiana agricoltori della provincia di Rimini e rappresentante del settore presso la Giunta della Camera di Commercio. Gran parte dei successi conseguiti dal settore in questi anni, sono merito dell’impegno e delle capacità degli imprenditori del mondo agricolo che hanno investito molto, anche di tasca propria, facendo fare alla nostra agricoltura un considerevole passo in avanti. Basti pensare ai nostri vini. Circa venti anni fa erano sconosciuti. Oggi non è più così. Ora è necessario che gli stessi artefici di questi risultati si pongano il tema di come fare gruppo per essere più incisivi. Se c’è una spinta a organizzare per la tutela e la valorizzazione del territorio dalla Camera di Commercio non mancherà come sempre ad essere disponibile”.

Nonostante il momento contingente non dia molte speranze alla possibilità che nel riminese si possa pensare ad un nuovo Consorzio tutto dedicato a rappresentare le istanze “tecniche e politiche” del vitivinicolo locale, Gaetano Callà, presidente della Strada dei Vini, sgombera il campo da una delle possibili ipotesi. “Non è possibile pensare di entrare in un grande calderone (altri Consorzi non a livello locale, ndr), specie per i piccoli produttori, che in tal caso rischierebbero di perdere la propria identità. Cosa di cui invece il territorio ha assoluto bisogno. Il livello qualitativo dei prodotti è eccellente. Sembrerà strano ma troppi, tanti a Rimini ancora in questo non credono, a partire dal nostro primo cittadino”. In effetti, per ritrovare un’azione davvero importante di territorio occorre tornare al 2000 con l’operazione “I Felliniani” nata da una collaborazione tra l’Enoteca Regionale dell’Emilia-Romagna, i produttori riminesi e la Fondazione Federico Fellini. La denominazione “I Felliniani” fu assegnata ai vini riminesi ottenuti rispettando il disciplinare di produzione della nuova DOC “Colli di Rimini” e giudicati meritevoli da un enologo esperto. Il cartiglio riproduceva un marchio distintivo tratto da un disegno originale di Federico Fellini e così Rimini doveva andare nel mondo. Funzionò, ma solo per poco. Poi più nulla.

Conclusioni

La viticoltura riminese a livello di prodotto è pronta per gli scenari internazionali. Le quantità non sono elevatissime, ma la qualità c’è quanto basta per non avere complessi d’inferiorità davanti ai prestigiosi vini toscani, veneti e piemontesi. Tutto dipenderà da quanto il territorio nel suo complesso riuscirà a fare squadra davanti agli altri “colossi” della Romagna.

 

I vigneti in numeri

Dal 1982 la superficie investita a vigneto costituita da 4.450 ettari è progressivamente diminuita riducendosi ad oggi a circa 2.200,00. Si vende a circa 40/42 euro a quintale. Con la vendemmia 2011 risultavano iscritti all’albo 537 vigneti , 169 mila i quintali di uva denunciati nel 2012). Circa il 51 per cento della superficie dei vigneti iscritti all’Albo è destinato alla produzione di Sangiovese di Romagna, di cui il 46,8 per cento di qualità “superiore”. Il resto dei vigneti è destinato alla produzione di vini dei Colli di Rimini, (in particolare Colli di Rimini rosso e Colli di Rimini Cabernet Sauvignon), con una percentuale del 41,0 per cento. Le aziende che hanno partecipato allo stand del Vinitaly 2013 sono state 23: Ca’ Perdicchi, Case Marcosanti, Case Mori, Battistini, Collina dei Poeti, Fattoria del Piccione, Fattoria Poggio San Martino , Fiammetta, Il mio Casale, Palazzo Astolfi, Podere dell’Angelo, Podere Vecciano, San Fortunato, San Rocco , Santa Lucia, Tenuta Carbognano, Tenuta del Monsignore, Tenuta Santini, Terre di Fiume, Torre del Poggio, Valle delle Lepri, Vinivo, Vitae