Il Vyrus riminese che contagia il mondo

Se dite che è una fabbrica si arrabbia. Per Ascanio Rodorigo, il titolare, idealista, sognatore e imprenditore artigiano come ama presentarsi, un passato alla Bimota,  la Vyrus, da lui fondata nel 2002, è una bottega artigianale, dove si costruiscono moto interamente fatte a mano, montate pezzo su pezzo, tecnologicamente tra le più avanzate al mondo.  Sementendo l’idea, piuttosto comune, che associa l’artigianato ad una buona manualità, ma non alla tecnologia più avanzata. Basta sapere che per l’ultima moto Vyrus 986 M2  l’aerodinamica è il risultato di complesse simulazioni con software di fluidodinamica ed ha richiesto l’impiego di diverse ore nella galleria del vento per ottimizzarne le forme.

Una combinazione di passione, conoscenza di ogni minimo dettaglio, artigianato meccanico di altissima professionalità, design futuristico, accurata scelta dei materiali (molte parti sono in fibra di carbonio), soluzioni tecnologiche avanzate ed estrema personalizzazione, sono i principali ingredienti di un prodotto tanto artigianale quanto globale,  pensato e fatto a Rimini (meglio in Romagna, la “Italian Motor Valley” come preferisce definirla Ascanio), che ha nell’unicità e nell’esclusività i suoi punti di forza.  Tanto che perfino la trasmissione Report di Milena Gabanelli, dedicata alle eccellenze nazionali, gli ha dedicato un servizio.

Perché stiamo parlando di 15-20 moto l’anno, non di più, spesso, come ci spiega Marco Garavelli, giovane appassionato meccanico che si è formato all’Istituto Alberti di Rimini, “progettate con la collaborazione, ed in base ai desideri, del cliente, con cui si stabilisce un rapporto di condivisione e complicità che non ha uguali. Di più: il cliente può scegliere il nome da dare alla moto e anche il logo. E se vuole può ricevere a casa, con la moto, la tuta, i guanti e il casco con gli stessi colori e lo stesso logo. La Vyrus garantisce che non ce ne sarà un’altra uguale”.  Il processo di  personalizzare e di rendere esclusivo ed unico un prodotto in gergo si chiama “brandizzare”.

In questo internet aiuta, perché i progetti possono girare da un continente all’altro, per essere condivisi, ricevere consigli e suggerimenti, senza particolari oneri (se non una banda larga che funzioni).

Non ha caso alla Vyrus, che fino ad oggi ha prodotto e venduto in tutto circa 150  moto, di cui appena un terzo in Italia, il termine più ricorrente è quello di “community”.  La comunità formata da chi possiede una moto Vyrus, ma anche da chi per passione ne condivide filosofia e stile. Con loro si organizzano raduni in Romagna, con tanto di cucine da campo e sangiovese, e  all’estero (l’ultimo nel circuito motociclistico di Cartagena, in Spagna).  Vengono da tutto il mondo interamente a loro spese.   Chiaramente stiamo parlando di una clientela che non ha problemi economici e può spendere per una moto fino a 60 mila euro, per il modello più costoso, optional a parte, viaggiando quella più economica comunque intorno a 30 mila euro. Moto uniche, dove contano i dettagli, che costano e si vendono. Tanto che al momento le prenotazioni gli daranno lavoro fino a maggio del prossimo anno. “Noi non abbiamo competitori, dice Ascanio, e facciamo il prezzo. In Italia negli ultimi tre anni non abbiamo venduto niente, non perché non ci siano i soldi, ma per paura del fisco. Chi ha preferisce non dare troppo all’occhio”.

Per vendere all’estero Vyrus dispone di una rete di concessionari che vanno dal Nord America, al Giappone, passando per Singapore, Messico e Cile. Poi in Europa: Regno Unito, Germania e Svizzera.

Da una bottega di provincia al mercato globale, non deve essere stato facile ?  Risponde Marco: “all’inizio per farci conoscere abbiamo partecipate a diverse fiere di settore, poi internet e il passaparola hanno fatto il resto. A volte ci chiedono le moto da esporre perfino i grandi marchi della moda. E’ successo anche a Riccione, in viale Ceccarini. Per noi è tutta pubblicità”.

Sorprenderà ma a combinare tutto questo non sono più di quattro/cinque persone, che devono fare di tutto, dalla produzione all’amministrazione, passando per le vendite, il marketing e  il sito web dell’azienda.  Senza contare la gestione di ben 250 fornitori, molti del distretto motoristico di Modena e dintorni, che provvedono alla componentistica.

Per cui la definizione di bottega della moto, al netto di tutto il resto, è sicuramente appropriata. Titolare compreso, che si muove tra attrezzi e  banconi, provando e limando, come un direttore d’orchestra tra maghi della meccanica.

Però non sono soli, perché intorno a loro si muove un informale pool di esperti e appassionati di moto, tanti sono giovani ingegneri meccanici, che lavorando in rete e incontrandosi ogni tanto, consigliano e partecipano creativamente alla progettazione delle nuove moto, come  alla ricerca delle migliori soluzioni.  Poi ci sono i rapporti con diverse Facoltà universitarie di ingegneria meccanica, come quelli con  l’Università di Losanna (Svizzera) e di Padova, per citarne alcune.

La Vyrus, prosegue Marco, “è un laboratorio e una fucina di idee  che consente a tanti giovani di esprimere la loro passione creativa, anche se magari si guadagno la vita in tutt’altro settore”.  Per questo la Vyrus è aperta ai tirocini di giovani, appassionati e fortemente motivati. L’Istituto Professionale Alberti e il Centro Zavatta sono le due scuole  locali che meglio hanno approfittato di questa opportunità.

Per il futuro, a parte le consegne da smaltire, non si esclude un ritorno alle corse nel mondiale M2 (per i non esperti, è il livello immediatamente sotto, come potenza, alle moto da GP dove corre Valentino Rossi), proprio con l’ultima nata Vyrus 986 M2.

L’azienda, con un mercato teorico stimato di diverse centinaia di moto l’anno, ha tutti i requisiti  per crescere  ma  si trova davanti due ostacoli: le banche che non concedono crediti (perché il fatturato attuale è ritenuto poco interessante, senza saper valutare le potenzialità…tra l’altro testimoniate dagli ordini); la difficoltà di accedere, per la ricerca e la sperimentazione, ai finanziamenti regionali ed europei, tanto sono burocratiche e complesse le pratiche, soprattutto per un piccola azienda. E pensare che l’innovazione  è il loro pane quotidiano.