Il packaging riminese: Universal Pack e Perfect Pack

Se provate a cliccare, su internet, “packaging Emilia Romagna”, vi apparirà una mappa da cui risulta patente che le aziende di questo settore sono concentrate soprattutto lungo la via Emilia, nel tratto che da Bologna si snoda fino a Parma (dove tra l’altro esiste un Corso di Laurea in Scienza e Tecnologia del Packaging), passando per Modena e Reggio Emilia. Non compare invecela Romagna, e men che meno Rimini.  Eppure un contributo a questa attività lo da anche questo territorio, almeno con una quindicina di aziende, alcune delle quali con una storia tutt’altro che recente.

L’azienda Universal Pack

Una di queste sicuramente è l’Universal Pack di San Giovanni in Marignano, uno stabilimento di circa’15 mila mq nell’area industriale adiacente all’uscita dell’autostrada, dove siamo ricevuti da Daniela Donati,la quale ci illustra e ci documenta sulla storia aziendale e l’attività svolta. Cominciamo da quest’ultima. Dal 1965, ma le radici sono più antiche e più avanti ci torniamo, Universal Pack produce macchine confezionatrici (imbustatrici) monodosi  per una vasta gamma di prodotti: dagli alimenti alle salse, dai medicinali ai detergenti, passando per i cuscinetti a sfera, i rasoi, gli stuzzicadenti ecc.. Insomma, dove c’è da fare una confezione  da un prodotto sfuso, fino ad un volume massimo di 300 centimetri cubi, loro sono pronti a trovare la soluzione ottimale (una volta misero perfino in busta  acqua per l’equipaggiamento militare) . Sì perché se il processo di imbustamento è grosso modo lo stesso, ogni prodotto ha le sue specificità e le macchine, di cui esistono varie versioni, vanno adattate ai prodotti ed alle richieste del cliente. Questo fa si che le macchine vendute siano molto personalizzate e prodotte su specifiche del cliente creando configurazioni su misura.

Per intenderci stiamo parlando di macchine, ci spiega Daniela Donati,che “possono produrre, lavorando su più piste, fino a 5 mila buste al minuto”.  Sarebbe più corretto parlare, perché la macchina da più l’idea di uno strumento che si limita ad eseguire determinate operazioni e basta, di complete  linee di  confezionamento, dove si imbusta ma poi, spesso un po’ più a valle, le confezioni monodosi vengono raccolte in astucci o scatole chiuse (ovvero confezionamento secondario) e corredate di prospetto illustrativo, sigillate e pronte per comparire sugli scaffali delle farmacie e dei supermercati. Pensiamo, per capirci, alle confezioni di aspirina orosolubile oppure alle scatole di thè, che contengono un certo numero di bustine monodosi. Le macchine di Universal Pack dannoil massimoin semplicità e flessibilità per tutte le esigenze del packaging: dalle singole buste alle più innovative soluzioni di confezionamento.

Sono macchine realizzate adottando tecnologie evolute, progettate dall’Ufficio Ricerca e Sviluppo  composto da una decina di esperti, che incorporano alle parti meccaniche anche  tanto software.  L’innovazione e la continua ricerca di soluzioni tecnologiche all’avanguardia, prosegue nel suo racconto sempreDaniela Donati,“ci ha consentito di consolidare la nostra presenza in Europa, nei restanti continenti e spaziare su nuovi mercati (l’Azienda esporta i due terzi abbondanti della produzione) anche in paesi emergenti come Brasile e Russia e perfino più lontani come Nigeria e Sud Africa, fino a Medio ed Estremo Oriente.

L’Universal Pack occupa un centinaio di persone  e nel2011 ha  fatturato 17 milioni di euro, nonostante  la crisi che si è fatta comunque sentire. Anche le ultime fiere di settore, come Interpack ed  Ipack-Ima (che si è svolta nel febbraio scorso a Milano e dove erano presenti 1.300 espositori, di cui un terzo esteri) sono state un po’ sotto tono.  Ciononostante, ci tiene a sottolineare la nostra interlocutrice, “nessun lavoratore è stato messo in cassa integrazione, però i margini operativi si sono ridotti”.  Di questi tempi, solo questa è già una buona notizia e speriamo che duri e che migliori.

Torniamo adesso sulla storia del packaging  nel Riminese, da cui trae origine, seppure lontanamente, l’Universal Pack, perché è piuttosto interessante. Le cronache raccontano che tutto ebbe inizio, ai primi del Novecento, da un farmacista di Morciano, tale Berti, che dovendo risolvere il problema di incartare specialità farmaceutiche (all’epoca i medicamenti si vendevano sciolti e non in confezione come oggi), ha avuto la brillante idea di meccanizzare il confezionamento con una macchina azionata a manovella, progettata e realizzata con la collaborazione del fabbro del paese.  Era il 1919. Il farmacista aveva un fratello, titolare di un’officina meccanica che la perfeziona e comincia a produrle in piccole serie.

L’attività passa poi ad un certo Piva e da questo, dopo la guerra, a suoi ex dipendenti. Siamo arrivati così all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso. E qui comincia la storia della Universal Pack,  quando  Gino Donati,  il fondatore  vede ad una mostra dell’artigianato, una  di queste macchine incartatrici. Fu amore a prima vista. Finite le scuole tecniche che frequentava a Rimini, trascorso un periodo di apprendistato a Torino, torna a San Giovanni e fondata nel 1965 l’Universal Pack.  Il resto è storia recente. Ma le radici, come si vede, sono più profonde.

Storia che è valsa la presenza dell’Universal Pack, con una propria macchina imbustinatrice per zucchero,  al Museo della Scienza  di Londra, in una esposizione dedicata all’evoluzione della lavorazione e confezionamento  di questo prodotto.

La Perfect Pack

 Tra la Perfect Pack, con sede  a Spadarolo di Rimini, dove si è trasferita da pochi anni, ela Universal Pack c’è stato più di un collegamento. Il primo, un po’ a sorpresa, è che il titolare di questa azienda è nientemeno che il figlio, Roberto, di Renato Talacci, oggi ultraottantenne, che ha lavorato in una delle prime ditte italiane, con sede a Rimini, di produzione di macchine automatiche per il packaging.  Tra i vari modelli  hanno prodotto la prima macchina imbustatrice di zafferano. Oggi, una di queste, conforme all’originale e ancora perfettamente funzionante, la si può ammirare all’ingresso della Perfect Pack.

Ricordo, dice Roberto Talacci, “quando mio padre,  io ero ancora piccolo, dopo la chiusura nel 1954 della ditta dove lavorava a seguito del decesso del titolare, armeggiava, la sera, nel garage di casa in Via Codazzi (una trasversale di Via Marecchiese a Rimini), con fresa e tornio intorno a queste macchine, azionate a manovella, che dovevano servire ad imbustare lo zafferano. In pratica sono cresciuto con loro. Conla Universal Packc’è stata una lunga collaborazione, iniziata già ai tempi di mio padre. Poi ci siamo voluti specializzare nella produzione di macchine per il settore cosmetico e farmaceutico, che erano  complementari a quelle dell’ Universal Pack, più concentrata sull’imbustamento di prodotti alimentari”.

La Perfect Pack nasce in un garage  nel 1987.  Le prime macchine, a parte quelle per la realizzazione di cannucce corrugate per bevanda  prodotte solo per pochi anni, sono state per l’imbustamento dello zafferano (un’evoluzione di quelle che già produceva Talacci-padre) e  per il confezionamento delle salviettine monodosi (quelle che danno sugli aerei, ma non solo). Poi sono arrivate le macchine per il confezionamento, sempre in monodosi, dei prodotti cremosi della cosmetica (tra cui anche i famosi campioncini  promozionali delle profumerie).

L’azienda cresce e nel 1994 si trasferisce, in uno spazio più largo, in zona Grottarossa di Rimini. La gamma, col passar del tempo, si allarga ed inizia la produzione di macchine, in più modelli e con diverse prestazioni, per l’imbustamento anche di prodotti farmaceutici in polvere e in grani.

Nel frattempo, spiega Roberto Talacci “ci rendiamo però conto che rimanere nella fascia bassa del mercato, anche se il nostro è un prodotto di nicchia,  era rischioso,  perché in Polonia o in Turchia per citarne alcuni, si potevano fare le stesse macchine a prezzi molto più competitivi dei nostri. Da qui la decisione di spostarsi su prodotti di fascia media-alta, con macchine di elevata automazione e produttività, che incorporano molto più elettronica e software,  per un mercato di aziende medio-grandi e multinazionali. Processo che ha voluto dire iniziare un cammino che è durato circa sei anni e che si è concluso nel 2010 con un rinnovo completo delle macchine, primariamente per il settore della farmaceutica e cosmetica.

Il risultato è stato che oggi, di fronte ad un mercato nazionale stagnante, esportiamo circa il 70 per cento della produzione, soprattutto in Paesi emergenti come Brasile, Russia,  Polonia, Turchia, Arabia Saudita e di recente anche l’India.  Mercato estero che ci ha consentito, in un periodo di crisi, di aumentare il fatturato del 22 per cento nel 2010 e del 25 per cento nel 2011, con buone prospettive di un ulteriore crescita del 10-15  per cento per l’anno in corso. Oggi facciamo meno macchine standard e singole rispetto al passato, 12-14 tra linee complete di produzione (per linee complete si intende imbustamento e astucciamento) e macchine singole,  contro le 18-20  di prima, ma il prezzo di vendita è più alto perché sono più complesse e incorporano un maggior valore aggiunto”.

La Perfect Pack ha 12 dipendenti, di cui 4 nell’Ufficio progettazione,  un fatturato di qualche milione di euro e grazie  ai buoni risultati degli ultimi anni ha in previsione di effettuare, nei prossimi mesi, anche qualche nuova assunzione.

Il percorso di Perfect Pack, ma non è la prima volta che lo rileviamo, smentisce o quanto meno ridimensiona l’opinione secondo cui per esportare bisogna per forza essere grandi imprese (anche uno studio recente della CNA rileva che la metà dell’export italiano è prodotto dalle piccole e medie imprese). Certo essere grandi aiuta, ma anche una piccola azienda, se ha prodotti competitivi,  può trovare i canali giunti. Come ha fatto Perfect Pack che cooperando da tempo con grandi aziende produttrici di macchine automatiche complementari è riuscita ad arrivare dove, da sola, forse gli sarebbe stato più difficile.

Alla base c’è però la ricerca e l’innovazione, che non può fermarsi. Tanto che l’Azienda sta già pensando a nuovi modelli, attenti anche all’impatto ambientale, che saranno pronti tra un paio di anni.

Produrre a Rimini, per un’azienda che ha interessi internazionali,  è un vantaggio o comporta dei costi aggiuntivi ?   “Sicuramente, risponde Roberto Talacci, se fossimo in Polonia guadagneremmo il doppio. Ma  io sono di Rimini e questa è la mia terra. Nel packaging l’Italia viene subito dopo la Germania, dove sicuramente ci sono condizioni migliori per fare impresa, si investe di più in ricerca e il Governo è più attento ai bisogni delle aziende (NdA: la Germania ha, da tempo, una politica industriale che manca in Italia. E nemmeno il Governo dei “tecnici” sembra averne una). Qui, solo per fare un capannone, ci vuole più di un anno di permessi, quando va bene.  Poi bisogna dire anche che la formazione è troppo slegata dal lavoro vero. Le nostre macchine sono composte da 700-800 pezzi e prima che un nuovo assunto diventi autonomo, ne comprenda cioè il funzionamento e sappia metterci le mani,  ci vogliono due anni di formazione interna, sul lavoro.

Comunque Rimini ha un suo fascino, perché quando invitiamo qualche cliente straniero a visitarci e diciamo dove siamo, non se lo fanno ripetere due volte”. Anche questo è un valore che forse andrebbe speso meglio.