Il lavoro non può attendere

Nelle località balneari la fine di una stagione non rappresenta solo un passaggio di calendario ma la chiusura di un ciclo e l’inizio, seppure sornione al principio, di quello che verrà.  Si fanno i bilanci e si comincia a pensare come affrontare il prossimo. Un periodo giusto per ragionare sugli esiti, ma anche sulle criticità. Del turismo, che rappresenta una parte importante dell’economia locale, ma anche di tutto il resto.

Un breve riepilogo della situazione può aiutare a mettere a fuoco i temi più importanti che dovrebbero indirizzare l’agenda del prossimo autunno-inverno.

A fine 2012,  i senza lavoro in provincia di Rimini erano quindici mila, quasi il doppio di cinque anni prima, con un tasso di disoccupazione generale che è il più alto dell’Emilia Romagna.  I giovani e le donne, con dati ancora peggiori, sono i più penalizzati. Aggiungendo a questi numeri i lavoratori in mobilità, che rischiano seriamente di perdere il posto, si arriva a un totale di  circa ventimila persone senza lavoro. Ma non è tutto, perché in questo conteggio, un po’ freddo ma dietro ci sono persone, non rientrano gli scoraggiati, cioè i tanti che il lavoro hanno smesso di cercarlo, perché non credono più di trovarlo e  le statistiche non li rilevano. La stagione turistica da sempre rappresenta una opportunità, ma quest’anno ci sono stati oltre tre mila avviati al lavoro in meno.  Intanto, per chiudere il cerchio, le ore autorizzate di cassa integrazione sono aumentate, nei primi nove mesi dell’anno, del  tredici per cento, sullo stesso periodo dell’anno prima.

Tutto questo avviene nel bel mezzo, non solo di una delle crisi più profonde del dopo guerra ma, di un cambiamento importante del tessuto produttivo locale, dove il manifatturiero, pur continuando a detenere  una quota importante delle attività e dell’offerta di lavoro, perde peso e rappresentatività, sostituito da altre imprese, ma non in modo adeguato.

Per riassorbire in tempi ragionevolmente brevi, perché il tempo per chi è senza lavoro non è una variabile secondaria (si mangia tutti i giorni), una massa così consistente di disoccupati non è però sufficiente  sperare nelle forze di mercato, perché potrebbero non arrivare o non agire nella direzione sperata. Ci vuole una politica, un indirizzo, scegliere delle linee di intervento, dare delle priorità, tanto più necessarie quando le risorse da investire sono scarse.

Il lavoro lo creano le imprese, vecchie e nuove, di tutti i settori. Le buone  imprese vanno sostenute in tutto ciò che è possibile perché possano crescere, innovare, internazionalizzarsi, competere e creare buone occasioni di lavoro. I risicati numeri delle start up riminesi, che tante volte rappresentano buone opportunità per giovani intraprendenti, dove siamo ultimi in Regione, ci dicono che non stiamo procedendo nella direzione giusta.

Non ci mancano le imprese che possono testimoniare buone pratiche, ma spesso vivono troppo in isolamento, anche per responsabilità della dirigenza privata e pubblica locale.  Si discute molto, in questi giorni, del destino dell’Aeroporto di Rimini, ma nessuno si è fatto la domanda se può essere utile, oltre che al turismo, anche alle nostre imprese che esportano e intrattengono relazioni con l’estero, obbligate a fare la spola con Bologna per ricevere e accompagnare i loro visitatori. Fare squadra vuol dire anche questo, guardarsi intorno, aggregare, procedere insieme quando possibile.

In conclusione, questo territorio manca di una politica economica per lo sviluppo, di conseguenze di un centro di gravitazione deputato e discutere, ma anche a prendere decisioni. La sua assenza rappresenta un forte ostacolo alla costruzione del futuro.