Il lavoro manuale non va più di…moda?

di Melania Rinaldini

“Moda, il lavoro (manuale) c’è ma nessuno lo vuole” titolava così un articolo apparso su Linkiesta qualche tempo fa.  In realtà gli autori di dati ne davano davvero pochi, se non altro quello del fatturato 2011 del comparto moda italiana: oltre 52 milioni di euro, +6% rispetto al 2011 secondo dati Federazione tessile e moda.

Il titolo prendeva spunto soprattutto dal libro della giornalista Emanuela Cavalca Altan, Moda e design in bilico. Nuove sfide e nuovi lavori dove l’autrice traccia il profilo in continuo divenire del settore moda. Da un lato la crisi economica spinge la clientela a razionalizzare i consumi, dall’altro le aziende riorganizzano le politiche del personale.

A dare ragione al fatidico titolo è stato recentemente Santo Versace. “I giovani d’oggi non sono più interessati al lavoro manuale. È una situazione difficile per il Made in Italy e questo a causa di una cultura sbagliata: la nostra. Per modificare il sistema alla radice dobbiamo correggere quella che, fino adesso, è stata la politica del posto fisso. Noi abbiamo insegnato ai nostri figli a cercare delle sicurezze che, per via della situazione economica, ora, non sono più possibili”. Versace si è espresso così alla firma dell’accordo sulla promozione del lavoro manuale fra Altagamma, di cui è Presidente, e Italia Lavoro, tenutasi il 16 febbraio a Montecitorio.  Cuore del programma AMVA (Apprendistato e Mestieri a Vocazione Artigiana) è la valorizzazione dell’apprendistato come strumento per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un sistema di incentivi alle imprese che utilizzeranno questo tipo di contratto per fare nuove assunzioni. Alle aziende 5. 500 euro per ogni giovane assunto con contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale in ogni settore di attività; 4.700 euro per ogni giovane assunto con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere in ogni settore di attività.  Il programma prevede inoltre l’individuazione in ciascuna delle 110 province italiane di una “bottega”, in uno dei settori dell’economia tradizionale locale a maggior rischio di estinzione, che diventerà una “scuola di mestiere” della durata di 18 mesi  dove insegnare a giovani disoccupati il lavoro dell’artigiano. A ciascuna bottega di mestiere sarà erogato un contributo di 250 euro mensili per l’attività di tutoraggio per ciascun giovane da formare. Il progetto prevede di inserire 30 giovani in ogni bottega, che si potranno formare grazie ad una borsa di studio di 500 euro mensili.

Fino a qui i dubbi e le prese di posizione, ma quali sono queste figure professionali che nessuno ricopre (a detta de Linkiesta)?

Tra le figure più ricercate c’è quella del modellista: lavora fianco a fianco con lo stilista, dal bozzetto iniziale decodifica il modello vero e proprio, correggendo le linee e trasportando il tutto su carta, o su pc con programmi come CAD. È una figura chiave poiché è quella che segna il primo passo verso la produzione effettiva. Inoltre, non tutti sanno, che è un lavoro ben retribuito e in costante crescita, non solo all’interno dell’azienda di moda: esistono infatti model service, aziende cioè che fanno solo questo servizio.

Il prototipista è la seconda figura che appare nella produzione di un abito. Dopo che il modellista ha decodificato, corretto e trasportato l’idea su carta o pc, facendola diventare un modello; il prototipista realizza il capo campione in stoffa. È un vero e proprio “meccanico” della moda: taglia, cuce, assembla, smonta e rimonta fino a quando il prototipo non è perfetto. O almeno fino a quando stilista e modellista non lo reputeranno tale.

Con programmi specifici, l’addetto allo sviluppo taglie controlla l’esattezza e la coerenza dello sviluppo preparando il grafico di taglio del tessuto.

Oltre a queste figure però ci sono sarti, tagliatori, aggiuntatori, follatori… tante figure da nomi  e ruoli poco conosciuti ma basilari.

Mancano davvero giovani disposti a ricoprirli?

Angelo Della Biancia, Direttore del personale di Aeffe, condivide l’opinione di Versace: “L’artigianato è in calo, è una tendenza culturale però, perché consigliamo ai nostri figli solo Economia e Giurisprudenza (come corsi universitari ndr) invece che orientarli ai corsi professionali”. E sulle ricerche di personale aggiunge: “In questo periodo non abbiamo carenza di figure manuali, ma seguiamo costantemente lo sviluppo di nuovi profili attraverso i corsi con i quali collaboriamo in ambito nazionale. In prospettiva, finita questa crisi, probabilmente serviranno nel mercato della moda giovani sarti, modellisti e quant’altro.”

Secondo Alessandra Baldinini “I giovani non disdegnano in assoluto il lavoro manuale nel settore moda. Certo, sono maggiormente affascinati dai lavori che ai loro occhi sono più prestigiosi, come lo stilista,  il pr o lo stylist ma solo perché  vedono esclusivamente il lato glamour di queste figure senza conoscerne realmente l’operato.”

C’è quindi un gap di conoscenza?

“Sì, il nodo della questione, sta nel fatto che molti non conoscono affatto le mansioni che potrebbero svolgere e le possibilità di carriera e di guadagno che si celano dietro certi lavori. Mancano o comunque sono troppo poche le strutture che insegnano certi mestieri.  Noi in Baldinini crediamo moltissimo nei giovani, e cerchiamo di formarli. È  però piuttosto difficile trovare giovani che vogliano apprendere i segreti dell’arte calzaturiera, giovani che vogliano diventare addetti al montaggio delle calzature oppure  sarte preposte alla giunteria. Naturalmente il lavoro in fabbrica è duro e spesso ripetitivo, ma a differenza di altri processi industriali, la calzatura richiede ancora una grande maestria e artigianalità e quindi nasconde delle possibilità reali di inserimento del mondo del lavoro e, perché no, di carriera.