Il lavoro in crisi grave

Mentre la popolazione provinciale (senza i nuovi Comuni della Valmarecchia) cresce di circa 4 mila unità (307 mila  all’inizio dell’anno), la crisi ha bloccato il lavoro: 135 mila erano gli occupati in provincia di Rimini (20 Comuni) nel 2008, e tali sono rimasti nel 2009, secondo le ultime medie annuali pubblicate dall’Istat.  

Una crescita che durava da molti anni si è interrotta. Sono invece aumentate di 3 mila unità, da 8 a 11 mila, le persone che cercano lavoro, facendo salire il tasso di disoccupazione (le persone che cercano lavoro sul totale della forza lavoro) al 7,6%, oltre due punti in più dell’anno scorso, ben al di sopra del 4,8% regionale, e in cima a tutte le altre province dell’Emilia Romagna (nell’area dei paesi Ocse la disoccupazione è salita all’8,7%).

Tasso di disoccupazione che sale però al 10%  per le donne della provincia di Rimini, quasi il doppio del valore regionale (5,5%) e superiore perfino alla media nazionale (9,3%).  

 Una tendenza che viene confermata dalla crescita della cassa integrazione nei primi tre mesi di quest’anno, rispetto agli ultimi tre mesi dell’anno scorso (da 970 mila ad oltre 1,4 milioni di ore tra ordinaria e straordinaria), come pure dal numero delle persone, con una leggera prevalenza di donne, che hanno espresso, al Centro per l’impiego di Rimini, l’immediata disponibilità per un lavoro, cresciute da 9.451 del 2008 a 12.307 (+ 30%) del 2009, di cui circa un terzo immigrate e più della metà del totale aventi meno di 34 anni.   

Ed è significativo che i giovani fino a 29 anni disponibili ad un lavoro immediato, che già godevano di un contratto a tempo indeterminato, quindi si presume che l’abbiano perso, siano quasi raddoppiati, salendo da 1.720 del 2008 a 3.279 del 2009.  

 Questo conferma che l’emergenza occupazione a Rimini colpisce in modo particolare due gruppi sociali, dove cioè la situazione si presenta più grave che nel resto: le donne e i giovani.

 Tiene nonostante tutto l’occupazione nell’industria (almeno fino a quando la cassa integrazione coprirà la mancanza di commesse), 39 mila addetti,  ma  per la prima volta il terziario (servizi e commercio)  smette di funzionare da compensatore e perde  posti di lavoro (da 93 a 92 mila).  

In questa situazione, che non interessa solo Rimini, gli obiettivi dell’Unione Europea per il 2010 (tasso di occupazione femminile al 60% e quello complessivo al 70%) si allontanano, essendo quello provinciale delle donne sceso dal 58,3 al 57,5 % (quattro punti sotto la media regionale) e quello totale passato dal 67,1 al 66,1%.  

 Ora se, alla luce di questi dati la situazione occupazione provinciale  si presenta  piuttosto seria,  diventa preoccupante se le previsioni per i prossimi due-tre anni dovessero avverarsi. Secondo infatti gli scenari di previsione al 2013, proposti Unioncamere regionale e presentati nel corso della giornata dell’economia indetta dalla Camera di Commercio di Rimini,  l’occupazione non crescerà per l’anno in corso, ma nemmeno nel 2011 (al contrario, anche se di poco, in Emilia Romagna è previsto un aumento dell’occupazione dello 0,7%). Per vedere qualche nuovo posto di lavoro bisogna attendere il 2012.

 In sintesi questa provincia vede crescere il numero di persone, soprattutto giovani e donne, che chiedono lavoro, ma non ha niente da offrire, almeno per i prossimi due anni.  Gestire questa situazione non sarà facile  perché richiede interventi straordinari e rapidi,  che vadano oltre i piccoli aggiustamenti congiunturali.

Bisogna che tutti si convincano che  le ristrutturazioni in corso, anche quando avranno un lieto fine,  ridurranno i posti di lavoro,  e che se non si “inventano” nuove opportunità, potenziando e rendendo più competitive le imprese esistenti e creandone delle nuove, in settori molto innovativi, sarà quasi impossibile offrire un futuro di lavoro ai tanti che lo cercano.  E’ questa la sfida che ci attende, non più rinviabile.

Occupati e disoccupati

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Italia: disoccupati senza reddito                                 

Ci avevano spiegato che il lavoro “fisso”  è troppo rigido, meglio quindi la flessibilità, i contratti a tempo, insomma l’instabilità. E’ pur vero che l’economia è cambiata, e un po’ bisogna adeguarsi. Ma come l’ultima crisi ha dimostrato, i guai sono venuti da un’altra parte (dalla finanza) e nessuna flessibilità è risuscita a salvarci.  Così può capitare, anzi in tempo di crisi è piuttosto frequente, che tante persone rimangono senza lavoro, compresi molte donne e giovani. In tanti paesi chi è senza lavoro, indipendentemente se l’ha perso o mai trovato, riceve un sussidio, e l’unica a non dare niente è l’Italia.

I più generosi sono i Paesi Bassi: una persona senza figli prende il 61% dell’ultimo stipendio,  con coniuge a carico e 2 figli il 91%.  Segue la Danimarca: il 58% nel primo caso, l’83% nel secondo.  La media Ocse (l’Organizzazione dei Paesi più industrializzati) è del 32% nel primo, e del 55% nel secondo caso.  L’Italia semplicemente non c’è.  O meglio, chi ha perso un lavoro può ricevere, dall’Inps, una  indennità,  ma alla condizione di essere assicurati da due anni e avere versato 52 settimane di contributi per  la disoccupazione. In questo caso la percentuale dell’indennità è pari al 60% per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e l’ottavo mese e al 40% per i mesi successivi.  Ma se non avete i requisiti, niente. Bravi a fare molta retorica sulla famiglia, meno all’atto pratico.