Il fisco e le imprese in tempo di crisi persistente

Dal 2011 a fine 2014, in provincia di Rimini hanno chiuso i battenti circa mille e cinquecento aziende (mille solo l’ultimo anno). Molte delle costruzioni e del  manifatturiero,  ma anche del trasporto e dei servizi di alloggio e ristorazione (turismo). Un calo così vistoso non capitava da molti anni.

Dal 2011 al 2013 (non sono ancora noti i dati 2014), sempre in provincia di Rimini, i fallimenti di aziende sono stati 254 e i protesti (assegni bancari, cambiali e tratte)  levati hanno superato i venti mila, per un valore cumulato, sommando i tre anni,  di 65 milioni di euro, che supera il 13 per cento dell’intero ammontare dei protesti regionali.

Un quadro, come si può notare, piuttosto pesante, che si porta dietro una situazione ancora più critica per quanto riguarda l’occupazione, con 17 mila disoccupati ufficiali, ma che tranquillamente possono salire a 25-26  mila se si considerano le persone in mobilità, in cassa integrazione a zero ore, oppure talmente scoraggiate d’aver smesso persino di cercare lavoro.

In questo quadro il fisco, tra gli altri, gioca un ruolo non indifferente, in un Paese dove la pressione fiscale, nonostante le ripetute promesse di diminuzione, è salita dal 41,6 per cento del 2010 al 43,5 per cento del 2014. In realtà supera il cinquanta per cento, perché questo conteggio tiene conto anche del sommerso, che come dice il nome però non paga le tasse, perché non compare.

Per le imprese va ancora peggio, perché sui profitti, come ha documentato l’ultimo Rapporto Doing Business 2015 (Fare affari) della Banca Mondiale, tra tasse e contributi in Italia si paga il 65 per cento, quando in Germania è il 49 per cento,  negli USA il 44 per cento e in Gran Bretagna il 34 per cento.

Con questo fardello le imprese nazionali devono fare investimenti, innovare, aprire mercati esteri e, alla fine, far tornare i conti, avendo però ipotecato più della metà degli utili.

Non è facile in epoca normale, figurarsi nel bel mezzo della crisi più lunga del dopoguerra.  Così abbiamo voluto chiedere ad Equitalia, incaricata dall’Agenzia delle Entrate (non solo), di incassare tasse e tributi, cosa sta capitando e come si comporta, di fronte alle imprese in difficoltà, sapendo anche, un po’ come avviene per il credito, che farle morire non garantisce certo il recupero delle somme dovute.

Ovviamente Equitalia non è responsabile delle somme iscritte a ruolo, in questo caso dall’Agenzia delle Entrate, a cui ci eravamo rivolti tempo fa per sapere come si giustificano sanzioni che possono arrivare fino al 30 per cento dell’importo dovuto,  per ritardi anche solo di pochi giorni. Risposta che non è mai arrivata.