Il covid ci rende più poveri

di Caritas Diocesana di Rimini

Dal 1° gennaio al 31 agosto 2020 la Caritas diocesana ha incontrato 1.048 persone. La maggior parte si erano già rivolte alla Caritas in passato, ma un buon  20% non si faceva vedere in Caritas da più di 5 anni: si tratta di persone che erano riuscite a superare le proprie difficoltà ma, a causa di questa pandemia, che ha interrotto moltissimi processi economici, si sono ritrovate nuovamente in una situazione di bisogno. Se si analizzano le caratteristiche anagrafiche di questo 20% si scopre  che, tra coloro che erano riusciti ad uscire da una situazione di povertà, ci sono: le donne, persone tra i 45 e i 64 anni, un maggior  numero di stranieri (in particolar modo: rumeni, ucraine, senegalesi e russe).

Restringendo il campo alle persone “nuove”, cioè quelle che mai, prima del 2020, si erano rivolte alla Caritas, si riscontra un aumento di uomini (addirittura l’85% nel periodo giu-ago),  di giovani tra i 25-34 anni (pari al 26,2% tra giu-ago) e una presenza maggiore di 45-54enni (pari al 25,5% tra giu-ago).

Soprattutto nel periodo del blocco totale si è notato un aumento degli italiani, che sono saliti al 39,6% del totale, quando erano meno del 35% nella stessa epoca dell’anno prima.

Italiani che sono ulteriormente cresciuti nel trimestre successivo il blocco.

Per la maggior parte (l’82,4%) sono uomini, e la fetta più grossa (il 33%) ha una età tra  45 e 54 anni.  Molti di questi italiani,  la maggioranza,  sono senza dimora, il 15% dei quali con residenza a Rimini.

I dati evidenziano che gli italiani in situazione di povertà sono di diversa estrazione sociale anche se, la maggior parte, ha titoli di studi bassi, il che fa presupporre provenienti da  famiglie non abbienti. Il 47,5% ha solo la licenza media, il 18,2% un diploma professionale, il 10,5% addirittura la sola licenza elementare e l’1,5% la laurea.

In generale, tra quanti si sono rivolti alla Caritas diocesana per richiedere aiuto, italiani e stranieri, molti sono stati costretti perché hanno perso il lavoro. Tra questi:

  •  lavoratori in aziende del territorio (operai, saldatori, magazzinieri…);
  • addetti al settore turistico (la stagione è partita tardi, alcuni alberghi hanno scelto di non aprire, altri hanno avuto meno prenotazioni per cui hanno richiesto meno personale o privilegiato contratti a chiamata);
  • braccianti, per la maggior parte lavoratori in nero, che non hanno neppure potuto richiedere il sostegno di aiuti statali, in quanto privi di contratto;
  • badanti, alcune hanno assistito persone positive al Covid19 e le hanno viste morire, altre hanno faticato a trovare un lavoro perché, per paura del contagio, alcuni anziani sono stati seguiti dalle proprie famiglie o inseriti in case di riposo;
  • il settore edilizio (soprattutto nei primi mesi dell’anno, dopo è ripartito anche grazie agli incentivi statali);
  • il settore del divertimento e del mondo della notte. Per la prima volta abbiamo incontrato dj e buttafuori, persone che molto spesso o lavoravano in proprio o attraverso cooperative, ma che non sono riuscite ad avere alcun tipo di tutela.