Il Centro sinistra dimentica il lavoro

E’ veramente singolare che dopo un anno, il 2010, in cui sono andati persi, a Rimini, 4 mila posti di lavoro e mentre la cassa integrazione non smette di crescere, tra i 36 punti  del programma del candidato del Centro sinistra non figura nemmeno una volta la parola “lavoro” e la necessità di recuperare una crescita economica minimamente paragonabile a quella delle province e regioni più dinamiche.

 Una dimenticanza che testimonia una visione della realtà  lontana dalle preoccupazioni vere di tante famiglie, dove ci sono tanti giovani, ragazzi e ragazze, ma non solo, alla disperata ricerca di un lavoro dignitoso.  E con il lavoro di un futuro.  E’ vero che se l’Italia non cresce è molto difficile che una provincia possa fare miracoli. Ma è pur vero che con buone politiche economiche locali si possono fare molte cose,  a cominciare dal sostegno all’innovazione delle imprese, senza la quale non c’è competitività, per finire con supportare i loro sforzi di internazionalizzazione, per arrivare la dove i mercati crescono più in fretta, fino alla creazione delle condizioni più favorevoli per la crescita di nuove imprese in settori tecnologicamente all’avanguardia, dal turismo al benessere (in collegamento col polo che dovrebbe nascere) e oltre.

 Che molti partiti non considerino il lavoro una priorità ci può anche stare, ma che sia la sinistra e il centro sinistra,  un tempo strenui difensori dei lavoratori e del lavoro, ad averlo completamente dimenticato è quasi una notizia. Ma più che un segnale di modernità sembra il sintomo di una identità perduta.

 Di seguito un articolo apparso lunedì 18 aprile sul Corriere di Rimini

 Rimini: diamo al lavoro nuove opportunità

 Se Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, è preoccupata perché con la crescita dell’Italia all’uno per cento (meno della metà della media europea) non ci sono margini non solo per creare nuova occupazione, ma nemmeno per riassorbire i dipendenti in cassa integrazione, cosa dovremmo dire a Rimini dove le previsioni per i prossimi due anni (2011-2013), contenute nell’ultimo Rapporto economico appena presentato dalla Camera di Commercio, ci attribuiscono un aumento del Pil di appena lo 0,5 per cento, cioè la metà della già misera crescita nazionale e regionale ?  

Quanto meno che non siamo messi bene e che il tema meriterebbe più attenzione, anzi dovrebbe figurare al primo posto, da parte di tutti,  a cominciare dai programmi elettorali dei vari candidati a Sindaco.

Perché la situazione è veramente preoccupante, soprattutto per i giovani che cercano un primo impiego e le donne. Dopo un paio di anni di fermo occupazionale, causa la crisi, improvvisamente, ma non inaspettatamente, nel 2010  sono andati persi diverse migliaia di posti di lavoro. Le persone che cercano lavoro sono aumentate da 6 mila del 2007 a 11 mila nel 2010, intanto che le richieste di indennità di disoccupazione ordinaria e con requisiti ridotti (stagionali) hanno superato quota 21 mila, poco meno di Bologna, che però ha una forza lavoro (occupati più le persone che lo cercano)  tre volte superiore.

 Il tasso generale di disoccupazione della provincia di Rimini (cioè le persone che cercano lavoro sul totale)  è arrivato al 7,8 per cento, ma quello delle donne  è balzato all’11 per cento, quattro punti sopra  la media regionale e perfino superiore al dato nazionale (9,7 per cento).

 In questo contesto diventa ancora più drammatica la condizione dei giovani sotto i 25 anni (sono 28 mila quelli compresi nella fascia d’età 15-24 anni), la cui  disoccupazione, in provincia di Rimini,   è balzata dall’8 per cento del 2005 al 21 per cento del 2009, mentre quella femminile, per la stessa fascia d’età,  è passata dall’8 al 28 per cento. Ricordiamo, per un termine di paragone,  che in Germania la disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni è all’8 per cento e quella delle donne della stessa età del 6 per cento. 

 C’è un problema di crisi, ma c’è anche un fatto strutturale, che cioè precede gli ultimi avvenimenti economici. Il precedente è che Rimini ha sempre avuto scarsa capacità di assorbire forza lavoro qualificata nelle sue aziende. Basta ricordare che dei 1200-1300 giovani residenti che si laureano ogni anno, la domanda delle imprese non supera quasi mai le 300-400 unità.  Qualcuno vuole dare la colpa alle troppe laurea umanistiche, che non sarebbero richieste, prefigurando maggiori possibilità per quelle scientifiche. Purtroppo, anche se qualche volta pur essere vero, non è così, perché nel 2010, in Emilia Romagna,  sono rimasti senza occupazione oltre quattrocento ingegneri.  E’ innegabile quindi che c’è anche un problema di  richiesta da parte delle imprese.

 Ora, se come afferma Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia,  la disoccupazione giovanile “E’ uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l’efficienza del sistema produttivo” tutti dovremmo chiederci cosa fare, subito e non tra qualche anno.  Perché di tempo se ne è già perso abbastanza.

 Una misura urgente potrebbe essere  quella di dare alle imprese tutte le facilitazioni possibili, agendo sulla finanza e le risorse locale, in assenza di un  piano nazionale, perché assumano giovani con la formazione più elevata. Quantificare anche un obiettivo aiuterebbe a dare un segnale di impegno, da parte del pubblico come del privato.

 Nel breve periodo poi  bisogna investire in start-up (giovani imprese), che negli Stati Uniti hanno contribuito a creare 3 milioni di posti di lavoro,  in settori altamente innovativi.  Rimini, per la sua storia e la rilevanza che tutt’ora ha, dovrebbe cominciare dal turismo, candidandosi a diventare il centro mondiale per la produzione di nuovi beni e servizi nel turismo, che ricordiamo, nel 2010, nonostante la crisi, è cresciuto, nel mondo,  del 7 per cento. Guadagnerebbe non solo in nuove imprese e posti di lavoro qualificati, ma anche in immagine. Accanto non sarebbe avventato pensare anche a qualcosa di simile in campo multimediale e cinematografico, visto il rilancio della Fondazione Fellini, se non si vuole offrire solo storia passata.

 Non sono le sole misure possibili, ma sicuramente le più urgenti,  che darebbero un segnale forte  di investimento sul futuro, a cominciare dalle nuove generazioni.