I laureati migliorano la produttività….quando richiesti

Dopo la Strategia europea di Lisbona, che la provincia di Rimini ha disatteso (prevedeva di raggiungere, entro il 2010, un tasso di occupazione generale del 70 per cento e femminile del 60 per cento, ma Rimini si è fermata al 64 e al 55 per cento), l’Europa-27 si è data nuovi obiettivi per il 2020 (la Strategia Europa 2020), anche come reazione alla crisi,  che tra l’altro prevede un tasso di occupazione del 75 per cento (vuol dire dare un lavoro a tre persone su quattro) e un numero di giovani laureati almeno pari al 40 per cento.

Obiettivi che l’Europa intende raggiungere suggerendo ai Paesi membri di lavorare in tre direzioni:  una crescita intelligente, sviluppando un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione;  una crescita sostenibile,  promuovendo un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva;  una crescita inclusiva ,  favorendo  una economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale.

L’Italia parte molto indietro e il camino da recuperare piuttosto lungo. Basta pensare che la popolazione 30-34 anni che ha conseguito una laurea in Italia non arriva al 20 per cento, tra le ultime d’Europa (dove la media è del 33 per cento),  perché dietro rimane solo la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Romania.

In Emilia Romagna va leggermente meglio e i laureati, nel gruppo d’età 30-34 anni,  sono il 23 per cento circa (comunque dieci punti sotto l’Europa).  Rimini dovrebbe partecipare a questo risultato.

Non sono quindi i laureati, come spesso si sente dire, ad essere troppi, ma semmai le offerte di lavoro da parte delle imprese ad essere troppo poche. La provincia di Rimini in questo aspetto ha però qualche ritardo in più, visto che strutturalmente la richiesta di personale laureato, da parte delle aziende locali, è costantemente al di sotto della media regionale e nazionale e di norma si mantiene abbondantemente al di sotto del dieci per cento.

Intervenendo all’assemblea dei Giovani imprenditori di Confindustria, nel giugno scorso, Fabrizio Saccomanni, Direttore Generale di Banca d’Italia, ha detto: “In seguito alla crisi, tra il 2008 e il 2010 l’occupazione in Italia è diminuita del 2,2 per cento; più che in Francia e in Germania … Le differenze si accentuano con riferimento alla sola occupazione giovanile.   Nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni la riduzione è stata in Italia del 13,2 per cento, assai più pronunciata che in Francia (-2,7) e in Germania (-3,1 per cento).

Il divario conferma, pur nel quadro di fattori comuni a tutti i paesi europei, l’esistenza di un problema italiano, che ha le sue radici principali nelle cause che frenano la crescita nel nostro paese da un quindicennio”.   Problema italiano, ma ancora di più riminese.

Eppure, ha proseguito: “Alcune recenti analisi empiriche mostrano che un miglioramento qualitativo dell’offerta di lavoro influenzerebbe la produttività delle imprese: un aumento del 10 per cento della quota dei lavoratori laureati porterebbe a un aumento della produttività totale dei fattori dello 0,7 per cento”.

Il ritardo dall’Europa e il bisogno urgente di recuperare competitività sui mercati ci dicono che nel futuro, per uno sviluppo fondato sulla conoscenza e l’innovazione,  non ci sarà bisogno di meno, ma di più laureati. Questo, che deve costituire un riferimento stabile, deve servire anche ad orientare le scelte delle future generazioni e dei tanti giovani che in questi giorni stanno decidendo a quale facoltà universitaria iscriversi.

Non è poi nemmeno tanto vero che le nostre università non preparano a sufficienza per il mondo del lavoro se, come sostiene l’ultimo Rapporto AlmaLaurea 2011, l’85 per cento dei responsabili delle risorse umane di imprese nazionali intervistato sostiene che i laureati assunti negli ultimi anni possedevano le competenze richieste (in Europa la percentuale sale all’89 per cento).

Ma la domanda che tanti giovani si staranno facendo è sicuramente la seguente: si trova lavoro con la laurea ?   Secondo il Rapporto AlmaLaurea citato, ad un anno dal titolo (le interviste sono state fatte ai laureati del 2009) avevano un’occupazione il 76 per cento dei laureati di primo livello (al netto degli iscritti ad un altro corso di laurea), il 74 per cento degli specialistici e il 65 per cento degli specialistici a ciclo unico. Rispetto al periodo precedente la crisi (2007) c’è stato un calo di occupati che per i primi due livelli è di circa sei punti percentuali, che nell’ultimo livello è diventato del 15 per cento.

Il peggioramento delle opportunità di trovare lavoro è stato accompagnato da un aumento della diffusione di contratti atipici-precari (coinvolge il 41 per cento dei laureati di primo livello e il 45 per cento dell’ultimo) e addirittura da una crescita dei senza contratto.

In discesa anche le retribuzioni mensili nette: 1.149 euro per un laureato di primo livello,  1.078 euro per una specialistica, 1.081 euro per il ciclo unico. A cinque anni arrivano al massimo a 1.300 euro.

A tre e cinque anni dalla laurea (laureati nel 2005 e 2007) gli occupati crescono fino a superare il 90 per cento (laureati di primo livello). Resta comunque confermato, scrive sempre il Rapporto, che “al crescere del livello di istruzione, cresce anche l’occupabilità. I laureati infatti sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, perché dispongono di strumenti culturali e professionali più adeguati.

Nell’intero arco della vita lavorativa (fino a 64 anni), la laurea risulta premiante: chi è in possesso di un titolo di studio universitario presenta un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore di chi ha conseguito un diploma di scuola secondaria superiore (77 contro 66 per cento)”.

Questo, al di la delle difficoltà del periodo, dovrebbe consigliare di portare al massimo il proprio livello di preparazione, combinando istruzione e formazione.  Aggiungendo gli stage, che aiutano a trovare lavoro.

A Rimini, visto che l’occupabilità dei laureati, di cui più della metà donne,  rappresenta una delle principali criticità,  sarebbe forse il caso di pensare alla costituzione, il Centro per l’impiego (CPI) potrebbe essere la sede giusta, di una banca dati dei laureati della provincia, estensibile anche ai diplomati. Questo per facilitare l’incontro tra domanda e offerta e rendere più trasparente il mercato del lavoro.