I giovani se ne vanno

Qualche numero fa, ad una domanda di questo giornale circa la regolarità dell’occupazione nel turismo, dove sono destinati più della metà degli avviamenti annuali al lavoro di questa provincia,  il Direttore della Direzione provinciale del Lavoro di Rimini rispondeva che  il settanta per cento degli alberghi controllati occupava persone in modo irregolare e che addirittura, tra questi, una buona metà li impiegava completamente in nero. Nel turismo lavorano, per pochi mesi,  tanti giovani, quasi la metà degli assunti, ma soprattutto tante donne, molte delle quali straniere.

Quasi scomparso il  tempo indeterminato, in provincia stanno diminuendo perfino i contratti di lavoro a tempo determinato, cioè a scadenza, diventati un lusso, mentre crescono a dismisura i lavori intermittenti, a chiamata: nel2008, acrisi appena iniziata, quasi non esistevano, oggi sono contratti applicati ad un avviamento al lavoro  su tre.  A chiamata vuol dire che si lavora quando capita, quando c’è una urgenza, un picco di stagione, oppure bisogna chiudere un buco. Si   chiama flessibilità e ce n’è tanta.

In paesi con politiche di sostegno alle persone più efficaci, magari la flessibilità del lavoro è la stessa, ma  poi ci sono anche misure di supporto al reddito per chi ne rimane temporaneamente senza.

Da sfatare anche un altro mito: che le aziende cercano ma i giovani non rispondono, perché certi lavori non li vogliono più fare. Non è completamente vero. Secondo l’ultima indagine Excelsior, a Rimini,  le assunzioni  di difficile reperimento non riguardano più di una su dieci: un disallineamento tra domanda e offerta  fisiologico.

E’ vero invece che i giovani con meno di 35 anni con una rapporto di lavoro precario sono raddoppiati negli ultimi otto anni, sfondando il tetto del 40 per cento del totale.  I precari italiani sono attualmente 3,5 milioni, un occupato su sei, e percepiscono un salario mensile un quinto più basso del collega non precario.

In Italia più di un giovane di 15-29 anni su cinque, in totale due milioni di cui il 20 per cento laureati,  non studia e non lavoro, un record europeo che costa, tra spesa sociale e mancato reddito prodotto,  32 miliardi di euro.  In Germania sono uno su dieci, la metà.

In provincia di Rimini la precarietà si chiama soprattutto stagionalità. In passato una opportunità per arrotondare le entrate familiari, oggi una necessità per tirare avanti.  Ma quando le assunzioni stagionali diventano preponderanti, come capita in Riviera dove solo una  su cinque non è stagionale, a fronte delle tre su cinque della media regionale, il margine di scelta per chi volesse un lavoro di maggiore durata si riduce di molto.

Questo spiega non solo la disoccupazione giovanile locale e il fatto che negli ultimi anni i giovani con un lavoro siano diminuiti, mentre sono cresciuti gli scoraggiati e gli inattivi, ma che  da qualche anno in tanti, circa cinquecento, hanno deciso di emigrare all’estero alla ricerca di migliori opportunità.

Un territorio che tenesse ai sui talenti, perché in genere emigrano i più intraprendenti e capaci, dovrebbe preoccuparsi di questo fenomeno, perché comunque rappresenta un impoverimento delle risorse umane locali, dopo aver investito sulla loro formazione.  Invece sembra che tutto passi sotto silenzio, che il tema del lavoro non sia poi così importante, a giudicare dallo spazio che gli viene dedicato. Ma è un errore. Come ha sbagliato il Ministro del Lavoro Elsa Fornero a definire schizzinosi  tanti giovani,  cui, al contrario, dovrebbe non garantire, ma almeno prospettare un futuro che non sia fatto solo di precarietà.  Perché, lo ricordiamo,la nostra Costituzionedice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro.