I distretti culturali e l’identità dei territori

di  Carlo Trigilia*

 Come trattare la questione del ruolo che i beni culturali possono avere nello sviluppo dei territori. Io credo che sia necessario partire da un concetto che sentiamo ripetere sempre più spesso: la globalizzazione. Perché ha a che fare col tema di cui ci dobbiamo occupare ?  Perché la globalizzazione, tra le altre cose, alimenta un consumo crescente di beni ambientali e culturali di qualità. Questa tendenza crea nuove opportunità, per un turismo non di massa, ma di qualità.  Tuttavia queste opportunità,  che si creano con la globalizzazione, non sono automaticamente colte da tutti i territori. Per riuscire a catturare queste opportunità sono necessarie alcune condizioni, che hanno a che fare con la promozione dello sviluppo locale, che richiede un ruolo attivo da parte delle forze sociali ed economiche, perché solo attraverso una loro azione consapevole e capace di guadare un po’ più lontano è possibile cogliere queste opportunità.

Dobbiamo anche chiarire, cosa vuol dire promuovere lo sviluppo locale da parte di forze che sono radicate nel territorio. Dobbiamo questi definire un po’ l’idea di sviluppo locale, quali condizioni lo favoriscono e quale ruolo possono svolgere le Fondazioni.

 Come  affrontare le sfide che la globalizzazione pone ?   Come i paesi avanzati possono difendersi dalla concorrenza dei paesi emergenti ? 

 Valorizzando beni non riproducili, come l’ambiente, l’arte e l’architettura, di cui l’Italia è ricca. Considerando la crescita del reddito di molti paesi, è facilmente immaginabile che  un numero crescente di persone vorrà venire in Italia per visitare Venezia, Roma e Firenze, ma anche luoghi minori dotati di beni culturali ugualmente significativi,  se si organizzeranno in modo da attrarre questi nuovi flussi.

I paesi avanzati, di fronte alla globalizzazione, hanno due strade: muoversi verso produzioni sempre più sofisticate ed a maggior contenuto tecnico-scientifico, cioè legate all’economia della conoscenza; giocare, con maggiore convinzione, la carta del proprio patrimonio ambientale, storico e artistico. Che sono beni non riproducibili. Perché la Cina può fare prodotti sempre più sofisticati, ma Venezia, o Roma, o Firenze li può fare solo di cartone…e  molti vorranno invece vederli dal vero.

 Il problema è come cogliere queste due opportunità che si danno ai paesi avanzati, e che sono anche strade obbligate.  Queste due strade richiedono un requisito comune, che è dato dalla capacità di lavorare con l’identità dei territori. Che vuol dire ridefinire l’identità come risorsa per costruire un vantaggio competitivo, che non può essere facilmente copiato da altri, per cui ci si mette al riparo della concorrenza di altri territori, che appartengono ad altri paesi.

 Come si può fare questo ? Le produzioni manifatturiere di qualità chiedono ai territori la formazione di reti radicate, in cui si sviluppa un saper fare specifico e relazioni tra imprese. Ma anche la valorizzazione dei beni culturali e ambientali richiede di saper lavorare sull’identità territoriale. Cioè io devo riuscire a veicolare a livello internazionale l’immagine di un territorio, legato ad alcune caratteristiche di quel territorio. Devo quindi riuscire a definire e trasmettere una identità territoriale distinta, che diventa il modo per competere in un mondo globale. Che cos’è una identità territoriale ?  Molto semplicemente è uno specifico patrimonio di risorse, materiali e immateriali, che si sono sedimentate storicamente in un territorio. Ci sono anzitutto delle risorse naturali,  poi c’è e il patrimonio storico artistico, spesso trascurato. Un territorio, poi,  ha anche delle risorse sociali, che si sono accumulate nel tempo. A Rimini ci sarà una certa mentalità, determinati modi di comportamento, certi costumi, ecc., che non sono gli stessi di altri luoghi. Ci sarà un certo capitale sociale, cioè una certa capacità di collaborare  tra soggetti sociali collettivi. Non sempre questo è uguale. Ci sono territori dove i soggetti non hanno fiducia gli uni degli  altri e non riescono a lavorare insieme.

Poi c’è il capitale economico e quello umano, che conta moltissimo. Ci sono posti dove la gente ha accumulato storicamente certe competenze.  Infine c’è un patrimonio di infrastrutture e servizi collettivi. Come si vede, l’identità territoriale è una cosa complessa. Ciascun territorio ha la sua identità, perché ha un profilo distinto. L’identità territoriale è un tratto distintivo, e come è difficile trovare una persona che sia esattamente uguale ad un’altra, così avviene per i territori. 

 Ora,  l’ascesa e il declino di questi territori, il fatto cioè che crescano, si sviluppino o perdano colpi,  da che cosa dipende ?   Dipende dalla capacità dei soggetti che sono li, di ridefinire l’identità del territorio per adattarla alle nuove sfide. C’è qualcuno che non ci riesce. Per esempio, Prato, negli ultimi tempi, non è riuscita a riadattarsi, perché le stoffe adesso si  fanno, a prezzi molto più bassi, nei Paesi emergenti. E sta ancora soffrendo perché non riesce a ridefinire una nuova identità, spostandosi su altre cose. Ci sono invece altri territori che si riadattano più in fretta.

Quindi, ascesa e declino dipendono dalla capacità di lavorare sulle proprie identità,  per renderle più congruenti con le sfide che vengono dall’esterno.

Ridefinire la propria identità. Ma da cosa dipende questa ridefinizione ? Perché ad un’area riesce, e ad un’altra no ?  Probabilmente perché i soggetti locali sono più o meno in grado di ricostruire dei rapporti e delle strategie più efficaci per lo sviluppo dei territori.

 La globalizzazione richiede questa ridefinizione. E fare questo vuol dire mettere in campo una strategia di sviluppo locale. Che cos’è lo sviluppo locale ? E’ un aumento delle capacità di progettare. Non è uno stock. E’ un processo, che continua nel tempo, accumulando sempre nuova conoscenza. Non è sviluppo locale quello di una impresa che oggi apre e domani magari se ne va, perché trova occasioni migliori. Può produrre dinamismo, ma se non lascia un patrimonio di conoscenza, che rimane, non c’è sviluppo locale.

L’altro aspetto importante è la capacità relazionale, di essere cioè in grado di lavorare con gli altri, di mettersi insieme per definire strategie di sviluppo.

 Quali sono le azioni che favoriscono lo sviluppo locale ?  Sono azioni chiamate interdipendenti. Se voi volete creare  un distretto culturale, per venire al titolo della conferenza, non è sufficiente che lavorino da soli gli albergatori, i ristoratori, i locali notturni, né può farlo da sola la Camera di Commercio, i Comuni o la Provincia.  Fare crescere un’area che ha come valore distintivo i beni culturali comporta l’efficace cooperazione tra soggetti diversi, non solo in termini di risorse, ma anche di informazioni e di capacità di creare consenso intorno ad alcune scelte.  Certamente presuppone investimenti privati, i quali però verranno fatti se altri soggetti faranno i loro, quelli che i privati non possono o non hanno interesse a fare.  Esempio: la tutela, il restauro e la valorizzazione dei beni architettonici e culturali li possono fare solo gli Enti pubblici. Poi ci vogliono delle infrastrutture di comunicazione (strade, aeroporti, ecc.). Quindi la qualità e quantità degli investimenti privati saranno condizionati anche dagli investimenti pubblici. Poi c’è la promozione, i servizi alle imprese, la formazione del personale e altro. Tutte cose che vanno coordinate e che richiedono cooperazione tra soggetti diversi. Ecco, quindi, cosa sono le azioni interdipendenti per lo sviluppo locale. E  se non ci sono determinate economie esterne le singole imprese non investiranno e se ne andranno.   

 Vorrei concludere sul ruolo delle Fondazioni. Le Fondazioni  possono avere un ruolo di rilievo per vari motivi. Primo, perché le Fondazioni hanno come missione, previsto dalla legge,  lo sviluppo;  secondo,  perché per il modo in cui sono gestite, favoriscono la terzietà, cioè non hanno interessi che rispondono direttamente al mercato. Non devono, alla fine dell’anno, fare dei profitti altrimenti gli azionisti licenziano i manager. E non devono nemmeno presentarsi alle elezioni. Tutto questo contiene anche un rischio, e molti le criticano, dicendo che sono autoreferenziali. Questo rischio c’è, ma ha come contropartita la terzietà, che proprio per come sono congegnate possono, meglio di altri, rappresentare gli interessi collettivi e soprattutto interessi di più lungo periodo. Al contrario della politica che è schiacciata sul breve periodo, al massimo le prossime elezioni. 

Poi le Fondazioni hanno anche delle risorse, anche se non sono un bancomat, e possono contribuire a gettare il seme da cui far crescere il resto dello sviluppo locale, lavorando per il medio-lungo periodo.

 * Docente  di Sociologia economica all’Università di Firenze.  Sintesi dalla conferenza del 4 febbraio 2011, organizzata dalla Fondazione CARIM, nell’ambito del ciclo di incontri “Dai territori locali l’impulso per la ripresa”. Trascrizione non rivista dall’autore.