I benefici “sprecati” dell’euro

A cicli, come le stagioni, qualcuno, in particolare del centro destra, torna a rimettere in discussione l’introduzione dell’euro, che avviene nel 1999, additandolo come una delle cause dei problemi dell’Italia.  Siccome tutte le opinioni sono legittime, ma per essere serie non possono prescindere dai fatti, è giusto ricordare che:

– nel pil mondiale, calcolato a parità di potere d’acquisto,  l’Italia pesa il 2,3%, un pò di più la Germania che arriva al 3,9% (tutta l’Europa rappresenta il 7% della popolazione mondiale e produce il 20% del pil) ;

– nella classifica dell’Indice della Competitività Globale, stilata dal World Economic Forum, l’Italia occupa la posizione n° 43 su 142 paesi. Fa meglio con l’Indice dello  Sviluppo Umano, elaborato dalle Nazioni Unite, dove risale alle 23ma posizione;

– dal 1990 al 2001 la crescita italiana del pil è stata pari al 1,59% annuo, quando quella della Germania è stata del 1,77%.   Ma le differenze si accentuano dopo. Infatti dal 2001 al 2010  l’Italia ha fatto registrare un tasso medio di crescita dello 0,09%, mentre quello della Germania è stato dello 0,93% (non tanto, ma pur sempre dieci volte più dell’Italia…ed entrambi avevano l’euro);

– l’Italia che nel 2000  figurava l’ottavo Paese più ricco del mondo, nel 2011 è sceso alla decima posizione, con la previsione di scivolare all’undicesima nel 2016;

In breve, l’Italia è ferma da più di un decennio e l’euro non centra, anzi.  Scrive nel merito il documento di Confindustria “Cambia l’Italia, come fare le riforme e tornare a crescere” del marzo 2012, nel capitolo dedicato aLA COMPETITIVITÀ DELL’ITALIA NEL CONTESTO GLOBALE  di Jennifer Blanke e Roberto Crotti:

“Il governo non ha mai raggiunto il pareggio di bilancio negli ultimi vent’anni; al contrario, i ripetuti deficit hanno contribuito nel corso del tempo a cumulare l’attuale livello, eccessivamente alto, del debito pubblico, ormai salito oltre il 119% del PIL (relegando l’Italia al 138 mo posto su 142 in questo indicatore)…..

L’adozione dell’euro ha inizialmente migliorato la finanza pubblica italiana, attraverso la riduzione dei tassi di interesse e di conseguenza del costo del servizio del debito pubblico, che è sceso da oltre il 10% a poco più del 5% del PIL, contribuendo così a una fase temporanea di lenta riduzione del debito fino al 104% del PIL nel 2003. Inoltre, pur limitando la politica monetaria italiana e la flessibilità del tasso di cambio, l’euro ha favorito il contenimento dell’inflazione, che, raggiunto il 6,5% appena prima della decisione presa nella Conferenza Intergovernativa di Madrid del 1995 di adottare un’unica moneta comune (come stabilito dal Trattato di Maastricht), è poi scesa su livelli più in linea con il target della Banca centrale europea, pari al 2% negli anni recenti.

Tuttavia, l’effetto della riduzione dei tassi d’interesse sull’andamento complessivo del deficit non è stato consolidato dal controllo della spesa pubblica, che avrebbe potuto condurre alla diminuzione del debito accumulato negli anni passati”.