Ghigi, la nuova food valley della Romagna

di Laura Carboni Prelati

C’è un rito che si ripete ogni giorno nelle nostre case, sulle nostre tavole; un bel piatto di pasta fumante, una gioia per gli occhi, un mondo di sapori unico e prezioso che racchiude storia, tradizione e gusto. Ma dietro ad uno dei più famosi miti italiani c’è anche la risorsa di un territorio, l’occupazione, lo sviluppo e un progetto per l’avvenire.

Grazie ad un invito fatto in anteprima assoluta ad ARGA (Ass.ne Interregionale Giornalisti Agroalimentare, Ambiente, Rinnovabili e Territorio) è stato presentato alla stampa specializzata il nuovissimo stabilimento della GHIGI Industrie Alimentari, a San Clemente, Località S.Andrea in Casale, in Via Falcone 188 e noi andiamo a visitarlo.

Il sito si estende per circa 80.000 mq., ha una notevole potenzialità per spazi coperti e scoperti utilizzabili ed è ubicato in una posizione geografica strategica, anche per le future attività industriali e di servizio. Chiediamo a Filippo Tramonti, Presidente della Nuova Ghigi Industria Agroalimentare, e Presidente del Consorzio Agrario Interprovinciale di Forlì-Cesena-Rimini, in cosa consiste questo nuovo progetto imprenditoriale così ambizioso.

“Il progetto è frutto di un pensiero condiviso, e si avvia a diventare una realtà importante, per questo territorio, e non solo. Sposa un insieme di motivazioni, filosofie e valori, e mentre si appresta a far rinascere occupazione e produzioni locali regala un’immagine nuova in qualità del Made in Italy”

I  fautori del progetto

 Di quale portata sono gli investimenti e chi ha prodotto le risorse necessarie?   “L’investimento economico complessivo è di 29 milioni di euro- dice Tramonti – e si fonda sulla collaborazione di una cordata di Consorzi Agrari; il capofila è quello di Forlì-Cesena-Rimini (che si estende anche al comparto marchigiano di Pesaro-Urbino, Macerata, Ascoli e Teramo, in Abruzzo) del quale sono presidente e promotore, insieme a quelli di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, della Maremma, di Bolzano, con annessione della Società Italiana Sementi (SIS) e Agriservizi”.

-Perché proprio i Consorzi Agrari?-“Perché riteniamo che i Consorzi Agrari debbano avere un ruolo più importante – precisa il Direttore Adamo Zoffoli- non essere solo fornitori di mezzi tecnici o impiantistica per esigenze agricole, ma essere il tramite alla valorizzazione di alcune filiere, in questo caso quella del grano duro. Nessuno meglio di noi conosce le problematiche legate al mondo agricolo; accompagnamo le aziende, donando consulenza e assistenza dalla scelta del seme alla raccolta delle messi e l’idea di completare la filiera ha creato immediato interesse nel management del Consorzio Agrario. E’ nato il concetto di filiera chiusa. Sappiamo che la proprietà è del mondo agricolo ed è giusto che chi coltiva veda un ritorno economico. Noi forniamo il seme (SIS), i nostri tecnici seguono le coltivazioni del campo nelle varie fasi climologiche, poi stocchiamo il prodotto e lo trasformiamo. Abbiamo sottoposto dei contratti di coltivazione agli agricoltori ai quali chiediamo di seguire certe tecniche produttive, così da conferirci il grano duro con le caratteristiche adatte alla pastificazione. Questa convenzione però si differenzia per qualcosa di straordinario; Ghigi garantisce il prezzo(a quintale) al momento della semina. Su 100 di prodotto che ci verrà conferito garantiamo il 40% a un prezzo che varia dai 27 ai 29 euro al q.le. L’altro 60% di prodotto subirà un controllo per accertarne le caratteristiche (quantità di proteine) e verrà pagato in base alle quotazioni del Mercato Borsa Merci di Bologna; l’agricoltore andrà così ad incassare in base all’analisi, ma quel 40% avrà già dato al coltivatore un prezzo minimo garantito che lo ripaga dei costi di produzione e gestione, per fare dei numeri quest’anno abbiamo seminato circa 42.000ettari di cereali”.

Cosa ne consegue?

Che gli agricoltori rivolgeranno maggior attenzione al territorio italiano – dice Enrico Sitaro, Direttore Operativo – alla qualità delle materie prime, alla sicurezza dell’attività produttiva. La pasta che uscirà dagli stabilimenti Ghigi, sarà a base di frumento seminato, coltivato e lavorato esclusivamente a livello nazionale e contiamo di mantenere, tramite i Consorzi, un rapporto diretto con gli agricoltori del nostro territorio.Uno sviluppo di questo tipo permetterà di incentivare la coltivazione del grano duro in Italia sia per superfici coltivate e quantità prodotte, attualmente insufficienti, che per un miglioramento in qualità del prodotto; valorizzando le produzioni locali garantiamo un beneficio economico agli agricoltori”.

Le prospettive “green”

Cosa prevede il piano di investimenti?“La realizzazione del Comparto Ghigi -continua Tramonti- per il quale non abbiamo ricevuto un centesimo di sovenzione dallo Stato o dalla Comunità Europea,  renderà il sito di San Clemente un polo agro-industriale di forte rilevanza; esso sarà al centro delle dinamiche di sviluppo non solo della valle del Conca ma diventerà la nuova Food Valley della Romagna. Ciò dimostra che è possibile creare una nuova attività secondo i canoni che ormai presidiano la Green Economy in tutto il mondo industriale evoluto. Visto e considerato che un Italiano ne consuma circa 28 Kg. all’anno, vediamo come il nostro nuovo pastificio lancerà la sua sfida sul mercato: Ghigi si estende su una grande area di 80.000 mq.circa, possiede un centro per lo stoccaggio per 150mila quintali di cereali, un nuovo stabilimento(14mila mq.) che avrà una potenzialità per 500/535.000 q.li all’anno di pasta secca; siamo dotati di un mulino di servizio per la produzione diretta anche delle semole ed uno spaccio aziendale per la commercializzazione dei prodotti e la promozione di lavorazioni alimentari del territorio(pomodori bio), il tutto nel pieno rispetto del principio“Km. zero”. Siamo dotati di una piattaforma logistica, un centro di analisi e ricerca, e, importantissimo per l’abbattimento dei CO2, due motori a trigenerazione (energia elettrica, acqua calda, acqua fredda) ad olio vegetale in grado di produrre 1Mwh ognuno. Questi motori, bruciando olio vegetale (girasole e colza) produrranno energia elettrica che verrà immessa in rete, e avranno anche la funzione di riscaldare e raffreddare l’acqua funzionale al nostro impianto.

Il ciclo dei motori a trigenerazione è da considerarsi ad emissioni 0 perché l’anidride carbonica prodotta dall’impianto è pari a quella consumata dalla pianta nel suo ciclo di vita. Stiamo valutando inoltre vari preventivi per l’installazione dei pannelli solari sui 19.000 mq di superficie del tetto dello stabilimento.  

Ghigi diventerà una realtà estremamente importante tanto da essere classificata come “patrimonio del territorio”. A breve, quando entrerà in funzione il ciclo produttivo, verrà reintegrata una parte dei vecchi dipendenti (erano 70 ma alcuni sono andati in pensione); sono 55 quelli disponibili. Di questi ne verranno assunti 35 che copriranno tutte le necessità operative dell’attuale struttura. I nuovi assunti sono 4; età media 30 anni. Due sono laureati (Economia Aziendale e Scienze e Tecnologie Alimentari), 1 perito elettrotecnico ed 1 persona con esperienza all’estero e conoscenza di 4 lingue.

E l’impiantistica?- “In questo contesto- precisa Bartolo Aprea Ingegnere Informatico- la principale sfida era di essere operativi con il nuovo sistema informatico aziendale a copertura dei processi di approvvigionamento, vendita e distribuzione dei prodotti commercializzati. Abbiamo inoltre avuto la possibilità di fare un impianto partendo da zero per cui abbiamo profuso nell’impiantistica di ultima generazione il meglio della tecnologia che esiste nel settore, e sono apparecchiature italiane”.

La mission aziendale- Filosofia e valori

“Noi non siamo un pastificio qualsiasi -dice Tremonti-  ce ne sono già 150 di queste dimensioni in Italia, ma noi dovevamo distinguerci da tutti gli altri”- Quali i valori aggiunti?-“ In primis la garanzia della materia prima: siamo il solo pastificio a livello industriale e pensiamo di diventare il 5°/ 6° pastificio a livello nazionale, ma siamo l’unico che reca la scritta “prodotto con grano 100%italiano”. La nostra pasta viene venduta ad un prezzo di mercato molto concorrenziale; stiamo già esportando e in prospettiva l’export sarà il canale di vendita più importante. Entro Febbraio 2012 raggiungeremo la certificazione IFS (International Food Standard) e BRC (British Retail Consortium), in seguito avremo la certificazione ISO 14001:2004 e OHSAS 18001:2007. Inoltre faremo le certificazioni BIOLOGICO e Kosher”.

“Io personalmente- precisa Tramonti- garantisco ogni pacchetto con la mia firma, siglando che questa pasta è anche OGM free”. La Ghigi, sposando la filosofia della filiera corta, ha raggiunto obiettivi qualificanti: garantire ai consumatori un prodotto finale sicuro di alta qualità tramite un controllo quotidiano nei nostri laboratori ( per ogni pacco di pasta che produciamo c’è la tracciabilità, sapremo sempre da quale agricoltore ed in quale campo è stato coltivato il grano utilizzato). Ma il mio discorso guarda più avanti; a breve in Turchia verrà aperto il più grande pastificio del mondo (Barilla) cercando di imitare le caratteristiche di prodotto che lo hanno reso famoso, ma con costi molto più bassi e grano comunitario. Noi non vogliamo abbassare l’asticella della qualità, sarà una priorità essere competitivi”.

BOX

Una storia lunga 140 anni 

Fu Nicola Ghigi, fornaio e commerciante, che nel lontano 1870 diede vita, a Morciano di Romagna, ad una piccola fabbrica artigianale di pasta per minestre, per soddisfare la domanda locale. I macchinari consistevano in un torchio in legno e ferro, ma ben presto la domanda si allargò a tutta la Romagna, determinando una prima trasformazione della ditta: da bottega artigianale a fabbrica. Stefano, il figlio, ereditò, nel 1894, l’attività lasciata dal padre continuandola per un decennio, ma scomparve di lì a poco e l’azienda passò in mano alla madre Margherita, che gesti, dal 1911, la “Fabbrica di pane e pasta salsamenteria”. Col passare del tempo l’attività si trasformò diventando una piccola industria, in Via Roma, dove, agli inizi degli anni ’50, il molino alimentare a cilindri venne ingrandito e venne costruito un mangimificio che, utilizzando i sottoprodotti della lavorazione pastaia, completava il ciclo produttivo integrato della Ghigi. La produzione passò da 5 q.li di pasta al giorno a 20 e poi a 40. La crescita dell’azienda fu ininterrotta fino agli anni ’60, epoca in cui il pastificio contava 400 dipendenti e produceva giornalmente 220 q.li di pasta. Premiato per la grande qualità della pasta all’uovo, e aiutato da alcune felici iniziative tra cui la sponsorizzazione della squadra di ciclismo di Fausto Coppi, il pastificio Ghigi divenne la terza azienda italiana dopo Barilla e Buitoni. Ma dopo il successo venne la crisi. Fra i fratelli Emilio e Angelo Ghigi subentrarono forti tensioni che determinarono la frattura nella ditta, avvenuta nel 1964. Emilio continuò a gestire la casa madre, Angelo fondò un nuovo pastificio a Rimini. La profonda crisi tra gli anni ’60 e ’80 indebolì ulteriormente la struttura commerciale a livello economico, iniziarono le liste di disoccupazione con scioperi e contrasti in azienda. La crisi si fece gravissima tanto da richiedere l’intervento della Gepi, la finanziaria pubblica di salvataggio. Nel 1980 il pastificio fu acquistato da Con.Sv.Agri, consorzio forlivese composto da 9 cooperative dislocate fra Marche e Romagna. La Ghigi riacquistò il suo prestigio, grazie alla pasta all’uovo, accreditata con produzioni come le Emiliane Barilla e marchi come Sidis e Selex e lentamente risalì. Ma nel 2000 Con.Sv.Agri entrò in crisi. Nel 2007si giunse alla liquidazione coatta amministrativa.     

Nella primavera del 2008, pochi mesi dopo la chiusura dello Stabilimento Ghigi per fallimento, nel pieno di una crisi economica mondiale, i soggetti più sensibili alle dinamiche imprenditoriali della provincia di Rimini come i Sindaci del comprensorio Valconca ed alcuni esponenti della Giunta Provinciale di Rimini, insieme agli esponenti provinciali e regionali delle organizzazioni sindacali,  cercarono imprenditori capaci di rilevare e far ripartire l’attività del pastificio che dal 1870 aveva spalmato sull’intero territorio romagnolo dinamiche operative virtuose.

L’operazione si presentava estremamente complicata per la presenza sul mercato di almeno cento pastifici e per la scarsa appetibilità del business pasta, bisognoso di notevoli investimenti.  Ma nella primavera del 2008 avvenne la svolta; fu proposto al Consorzio Agrario di Forlì-Cesena-Rimini di rilevare l’attività fallita pochi mesi prima. L’idea di poter completare la filiera della coltivazione del grano duro affascinò fin da subito il Management del Consorzio Agrario che capì le potenzialità del progetto.