Garanzia giovani: praticamente un flop

di Mirco Paganelli

Ogni due giovani della Provincia di Rimini che lavorano ce n’è uno disoccupato. Sempre più laureati si sono rivolti ai Centri per l’impiego (Cpi) negli ultimi anni. Dal 2014 queste strutture si prendono in carico ancor di più le sorti della forza lavoro giovanile. A maggio è entrato in vigore “Garanzia giovani”, il piano europeo per ridurre il tasso di disoccupazione giovanile nell’Eurozona, che in Italia è del 46%, con punte del 60% nel Mezzogiorno. Con uno sprazzo di lungimiranza, il Governo italiano ha deciso di estendere l’età verso cui erogare il servizio a tutti gli under29, vessati da una disoccupazione del 33,7% (25 a Rimini). TRE fa il punto sulla nostra Provincia per vedere a che punto siamo.

Quanti sono i disoccupati 15-29enni a Rimini? L’Osservatorio provinciale non ne è a conoscenza. Prima lacuna: il monitoraggio. TRE li ha calcolati sulla base dei dati Istat. Gli inattivi sono 24.140, ovvero il 51,7% della popolazione 15-29 anni. Il tasso di disoccupazione è il 25% della forza lavoro (gli attivi), che si ottengono sottraendo gli inattivi alla fascia totale. Risultato, circa 5.600 disoccupati under30. (Quelli maggiorenni, più direttamente coinvolti, sono 300 in meno). A loro vanno poi sommati altri potenziali destinatari: i “neet”. Per avere un’idea sommaria di questi che non studiano né lavorano, applichiamo la percentuale regionale del 18,8% – non disponendo di quella provinciale. Il bacino di utenza della Garanzia Giovani a Rimini sale a 10.000 giovani. Non poco lavoro per i cpi.

Chi ha già aderito. Chi è giovane, senza lavoro e non studia può ottenere un colloquio presso il centro per l’impiego di Rimini o Riccione entro 60 giorni dall’iscrizione al portale e, dalla sottoscrizione del patto, ognuno riceve una proposta di lavoro, stage, progetto formativo o altro entro 4 mesi. Le richieste di adesione giunte a Rimini a metà settembre erano 944. Di queste, 655 su Rimini, 262 su Riccione. La maggior parte delle iscrizione proviene dal portale regionale (lavoroperte.regione.emilia-romagna.it). Gli altri da quello nazionale (www.garanziagiovani.gov.it) e si tratta sia di emiliano-romagnoli che provenienti da altre regioni. Infatti ognuno può iscriversi nella regione che vuole, anche più di una. Dei 661 maggiorenni, il 30% non ha ancora fissato un appuntamento. “Alcuni non si sono presentati, altri sono stati colloquiati ma non avevano i requisiti, oppure hanno preferito attendere prima di aderire, magari per vedere cosa proponevano altre regioni”, affermano dal Cpi di Piazzale Bornaccini 1. Seppure i numeri siano raddoppiati rispetto al mese prima, si tratta ancora di qualche centinaia di ragazzi: pochi rispetto al target dei 10.000 a spasso. Ad ogni modo, a questi uffici viene richiesto uno sforzo notevole e dal Palazzo della Provincia affermano di non ricevere alcun supporto economico, né di ricorrere ad un incremento dell’organico. Ma com’è possibile? E i 74,2 milioni di euro del Fondo sociale europeo destinati all’Emilia-Romagna dove vanno a finire?

“Non ci sono target di giovani stabiliti per provincia, né risorse assegnate per le Provincie”. Per Anna Diterlizzi, dirigente provinciale di Formazione, Scuola e Lavoro (responsabile del servizio dopo il decadimento della Giunta), si fa con quello che c’è già. Gli obiettivi del Piano di attuazione nazionale sono altisonanti. “Fornire un consistente impatto sull’emergenza occupazionale contingente”. “Creazione di un sistema permanente di garanzia”. “Lavorare sulla cattura dei flussi in senso lato”… Eppure, scesi alla scala della scrivania che accoglie la scheda del candidato, non si respira lo stesso ottimismo. C’è chi parla di flop in partenza. Certo, siamo agli inizi, ma non aspettiamoci di veder fioccare 10 mila posti di lavoro grazie a direttive regionali.

L’organizzazione è ancora debole. “Fino al 4 settembre mancava ancora l’impianto normativo”, spiega Licia Piraccini dell’ente di formazione Cescot che offre tirocini e consulenza nel fare impresa. “Spetta ai giovani che fanno il colloquio al centro per l’impiego scegliere poi a quale ente di formazione rivolgersi per sviluppare una delle azioni proposte loro. Ancora non abbiamo ricevuto alcuna chiamata. Dobbiamo migliorare la comunicazione”. Anche per Irfa, l’ente di Confartigianato, “non è ancora tutto quanto a sistema. Ancora non sono arrivati giovani. Ci stiamo organizzando, così come i centri per l’impiego”. È da sottolineare come in Italia i giovani abbiano poca confidenza coi Cpi nel cercare lavoro. Solo 3% ne fa uso, mentre il 30% preferisce rivolgersi ad amici, parenti o conoscenti (indagine Isfol-Plus 2010). Il ruolo chiave che questi centri possono giocare è ancora vago.

Come può il solo efficientamento dei Cpi portare ad un aumento dell’occupazione se alle spalle c’è un sistema economico che non crea lavoro? È giusto concentrarsi solo sul mancato incrocio domanda e offerta di lavoro (mismatch)? Non sarebbe meglio dedicarsi all’innovazione delle aziende – le uniche a creare posti di lavoro – e alla riduzione del cuneo fiscale? In una recente inchiesta, l’economista della LUISS Luciano Monti stima che i beneficiari del piano per la Regione Campania saranno dal 5 al 20% del target. Un possibile fiasco. Secondo la sua provocazione, il piano sarà più utile agli operatori dei Cpi campani, prevedendo per loro 9,6 milioni di ore pagate in più. Se, come dicono a Rimini, in riviera non ci sono risorse dedicate, non dovrebbe essere un nostro problema. Ma i dubbi non finiscono.

La Garanzia Giovani, per com’è concepita – fra orientamento, tutoraggio e corsi di formazione – sembra indirizzata più che altro a chi ha un “basso” profilo, ovvero chi è poco scolarizzato. Che ne è dei laureati, magari precari sottopagati e/o sotto-occupati. Che ne è dei finti autonomi mascherati da partite Iva? Un gruppo, questo, difficile da quantificare a livello provinciale, ma che di certo allarga di qualche migliaio l’esercito dei 10.000. “Si dovrebbe contemporaneamente investire sui profili più bassi con formazione e orientamento – afferma Lora Parmiani, segretario NIDIL-CGIL Rimini -, e su quelli più alti (e sulle aziende) attraverso stage e soprattutto apprendistato. Quest’ultimo rappresenta per noi il vero ingresso nel mondo del lavoro”. Critica sull’organizzazione centrale: “C’è la tendenza a fare annunci che poi non si traducono in fatti. Prima il ministro Giovannini, adesso Poletti. I neet in Italia sono oltre 2 milioni (nella fascia d’età 15-29, ndr)”. Gli iscritti in Italia alla Garanzia erano 200 mila a metà settembre. “Un numero importante, però non c’è ancora una sufficiente informazione al riguardo”. Un numero che peraltro pare rallentare. Dopo la prima ondata di maggio, le iscrizioni si sono dimezzate già dal mese dopo.

Anche le aziende devono fare la loro parte. Tre quarti degli annunci di lavoro presenti sul portale nazionale propone contratti a tempo determinato. Pochissimi gli apprendistati. Spesso l’esperienza richiesta è di 5-10 anni… che un giovane non potrebbe mai avere. “Nel nostro territorio vediamo tutti i giorni posti di lavoro che dovrebbero essere stabili, sostituiti con tirocini – prosegue la sindacalista -. In Italia un avviamento su due dura un mese o meno. Le imprese ricorrono a un menù di soluzioni precarie che costano meno, ma non si investe sul giovane pagando la ritenuta del 20%!”.

Non sarebbe meglio dividere il piano in base al target? “Ai meno istruiti dovrebbe essere permesso di allargare il proprio network e formarsi ulteriormente. A chi ha studiato di più vanno garantiti mobilità occupazionale, aggiornamento professionale, programmi e servizi di auto-impiego”. Ad ogni modo, “per Rimini il piano diventerà più importante in inverno, quando ci si ritrova disoccupati dopo la stagione”.

E’ ancora cauto sui giudizi Paolo Maggioli, presidente di Unindustria Rimini. “L’auspicio è che l’applicazione sia il più lineare e semplice possibile e che non si inneschino meccanismi e intoppi burocratici gravosi. Affinché sia utile, deve essere flessibile”. E poi, “Avrebbe creato un maggiore dinamismo suddividere l’operatività fra vari soggetti, sia pubblici che privati, e non delegare la gestione esclusivamente al Centro per l’impiego a cui poteva essere affidato il ruolo di coordinamento delle attività”. Gli riportiamo la protesta dei sindacati: come mai sono così pochi gli apprendistati in provincia? “Da quanto ci risulta le nostre aziende associate ricorrono sia a tirocini che all’apprendistato”. Contro di essi hanno inficiato negativamente, ribadisce Maggioli, la crisi e i vincoli introdotti dalla nuova legge sui tirocini.

Anche la Caritas di Rimini ha registrato un aggravio della condizione giovanile. Per il primo semestre di quest’anno l’osservatorio interno parla di un aumento dei ragazzi che hanno chiesto aiuto per la ricerca del lavoro a questo istituto. Delle 175 domande pervenute al Fondo per il lavoro, il 18% ha tra i 19 e i 34. “Un segnale importante – commentano -. Se cercano lavoro tramite la Caritas vuol dire che prima hanno provato tutte le altre vie. Iniziamo a vedere anche i laureati. A far fatica sono anche i separati e i giovani coniugati che non riescono ad ampliare la famiglia”. I casi più preoccupanti? I disoccupati che provengono da contesti familiari instabili. “Spesso sono giovani italiani che vengono dal sud Italia e che sono sul territorio da 5 anni o più. In percentuale più basse, il fenomeno riguarda anche i riminesi”.

 

Focus. Disoccupazione giovanile a Rimini negli anni della crisi

Per i 15-24enni riminesi a caccia di un’occupazione ci sono stati due anni critici nel periodo di crisi: il 2009 e il 2013. Nel primo caso, il tasso di disoccupazione giovanile è passato dall’11 al 21,5% (un incremento più rapido sia di quello regionale che nazionale). Il dato è rientrato, si fa per dire, nel 2011 (15,5%) e risalito di nuovo nel 2012 sopra i 20 punti percentuali, per poi schizzare al 30% nel successivo “annus horibilis”, attestandosi poco al di sotto della media regionale (33,3%). Anche la più ampia fascia dei 15-29enni ha visto nero. Dall’8% del 2008 la disoccupazione di questa coorte ha gradualmente preso l’ascensore fino al 25% nel 2013. In valori assoluti, TRE ha calcolato 2.600 disoccupati 15-24enni più 3.000 25-29enni. Le femmine sono state maggiormente colpite dalla contrazione dei posti di lavoro rispetto ai maschi con tassi di disoccupazione, per alcune annate, anche doppi rispetto all’altro sesso.