Donne in cerca di parità

Le donne, come è noto, sono la maggioranza della popolazione, ma non sono la maggioranza nel lavoro. Per restare in provincia di Rimini, su 140 mila occupati, le donne sono 63 mila, cioè il 45 per cento. Paradossalmente la crisi, scoppiata nel 2008, ha fatto bene al lavoro femminile: infatti, a lavorare, nel 2008, erano 57 mila (6 mila in  meno) e rappresentavano il 43 per cento del totale  (2 punti percentuali in meno).

Questo è accaduto in un periodo in cui l’occupazione maschile retrocedeva, ragione per cui si può ipotizzare che tante donne siano state costrette o invogliate ad entrare nel mercato del lavoro per compensare la perdita del posto dell’altro genere della famiglia. Il risultato è stato una riduzione della distanza tra i due tassi di occupazione (le persone che lavorano su quelle che vorrebbero farlo), maschile e femminile, che, sempre a Rimini, è scesa da 18 a 14 punti.

Per intenderci, l’attuale tasso riminese di occupazione maschile è del 70 per cento e del 56 per cento quello delle donne (anno 2016). Superiore, quest’ultimo, a quello nazionale fermo al 49 per cento,  ma al di sotto del 60 per cento dell’area euro, per non parlare del 75 per cento della Svezia, 73 della Norvegia e 71 della Germania (Eurostat).

Senza guardare troppo a nord, il tasso di occupazione delle donne riminesi resta comunque il più basso tanto in Emilia Romagna, come in Romagna.  Non da oggi.  Un ritardo  (meno 6 punti nei confronti del dato regionale) che potremmo senz’altro definire strutturale.

Molto probabilmente questo è  l’effetto del lavoro stagionale, diffuso nel turismo, dove in media si lavorano 120 giornate l’anno. Lasciando un deficit di opportunità, nel resto dell’anno, per le tante donne che cercano un altro impiego ma  non lo trovano. Come testimonia anche il maggiore tasso di disoccupazione femminile, a Rimini più alto che altrove.

Situazione che configura un sottoutilizzo di risorse umane e professionali importante e che diventa ancora più grave se consideriamo che, nel 2016,  su poco meno di 1.600 laureati residenti in provincia, le donne sono oltre 900.  Più istruzione e meno occupazione non è un abbinamento a lungo sostenibile.