DONNE: cresce l’occupazione, pagata sempre meno

All’inizio del 2022, in provincia di Rimini si contano 341 mila residenti, di cui 176 mila donne (il 52 per cento). Tra queste ultime 22 mila sono cittadine immigrate regolarmente residenti.

 L’età media degli uomini è 44,6 anni, quella delle donne di 47,3.  Nel trascorso decennio la speranza di vita dei primi si è allungata di 2,7 anni, delle seconde di 2,6 anni. Un cammino quasi parallelo che lascia invariata la distanza dell’età media. Perché le donne vivono più a lungo.

Una donna riminese in età fertile (15-49 anni) mette al mondo 1,12 figli (era 1,26 vent’anni prima), meno tanto della media regionale (1,27), quanto nazionale (1,25). Ricordiamo che per evitare la discesa della popolazione ci vorrebbero 2,1 nati per donna.

Un numero di nati così basso che da oltre un decennio non riesce a compensare i decessi, ragione per cui il saldo naturale (la differenza tra nascite e decessi) sta diventando sempre più negativo (Osservatorio di genere 2022, della Provincia di Rimini). In questa situazione non siamo soli, ma non può essere una consolazione.

Intanto si potrebbe cominciare, per dare una mano alle giovani mamme, col migliorare i servizi per l’infanzia (0-2 anni), che nel Comune di Rimini coprono solo il 31 per cento dei bimbi, contro il 41 per cento di Cesena, il 50 per cento di Forlì e il 45 per cento di Ravenna. Vanno invece meglio, e in linea col resto della regione, i servizi per l’infanzia 3-6 anni (Istat, anno di riferimento 2020).

Perché in gioco non c’è solo l’inserimento lavorativo delle donne, ma lo sviluppo futuro del  territorio, ristringendosi, senza nascite, la base delle future forze di lavoro.

Lavoro dove le donne hanno un ruolo importante da giocare. Tra poco più di una settimana cadrà l’8 marzo, festa della donna, ed è quanto mai opportuno fare il punto sul loro inserimento occupazionale, come pure sulla capacità imprenditoriale, in provincia di Rimini.

Il covid ha penalizzato tutti, ma in modo particolare le donne, il braccio “armato” del lavoro turistico, che come tutti sanno è stato, tra i settori di attività, il più colpito, in particolare nel 2020.

Avendo, però, uno sguardo un po’ più lungo, è giusto sottolineare che le donne della provincia di Rimini hanno conquistato, meglio sarebbe dire recuperato, nell’ultimo decennio, diverse posizioni lavorative sugli uomini.

Lo testimoniano i 13 mila occupati complessivi in più del periodo 2010-2019 (ultimo anno normale prima della pandemia), di cui ben 8 mila sono da attribuire alla maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, come dimostra l’aumento del numero delle occupate da 58 a 66 mila. Numero, quest’ultimo, che fa salire il contributo delle donne all’occupazione provinciale, nel periodo di riferimento, dal 42,6 al 44,3 per cento del totale. Non ancora la parità, ma un passo avanti.

Poi il covid ha rimesso in discussione molte cose, ma al momento, fine 2021 (i dati 2022 arriveranno tra qualche mese), sembra aver penalizzato più gli uomini, che non sono ancora tornati al livello occupazionale pre-pandemia, delle donne le quali, al contrario, hanno già recuperato il terreno ceduto nel 2020, portandosi al 45,5 per cento dell’occupazione totale (più di un punto sopra il livello pre-covid).

Certo, nonostante la riduzione della forbice, da 17,5 del 2010 a 13,3 punti del 2021, la distanza tra il tasso di occupazione (quanti lavorano ogni 100 che potrebbero farlo) provinciale degli uomini e delle donne rimane piuttosto elevato: 72,5 per cento quello dei primi; 59,2 per cento per le seconde. Tasso di occupazione femminile che pur migliorando nel tempo, resta sempre il più basso della Romagna e oltre due punti in meno della media regionale.

Avere un posto di lavoro è importante, ma non tutti i posti sono uguali, per durata e retribuzione. Senza particolari sorprese, il settore di attività privata che in provincia di Rimini, nel 2021, ha assorbito più donne dipendenti è stato il turismo (alloggio e ristorazione), circa 18 mila, il 58 per cento del comparto. A seguire il commercio, poco sotto 9 mila unità, il 53 per cento del totale; manifattura quasi 6 mila, il 33 per cento; noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese 5 mila, il 48 per cento; sanità e assistenza sociale 4 mila, l’80 per cento; istruzione 3 mila, l’80 per cento; a sorpresa attività professionali, scientifiche e tecniche 2,3 mila, il 72 per cento (Fonte Inps). Insomma, sono i servizi il principale bacino occupazionale delle donne.

Con una novità importante capitata proprio negli anni  a cavallo del covid (2019-2021): il sorpasso delle donne sugli uomini, avvenuto proprio  in un settore che si ritiene, sbagliando, a maggiore vocazione maschile: quello delle attività professionali, scientifiche e tecniche. Qui le donne occupate sono balzate, in pochi anni, da 1.151 a 2.351, praticamente più che raddoppiate, mentre gli uomini da 1.129 sono scesi a 900. Le donne erano la metà, oggi sono più dei due terzi. Non sappiamo, ma è probabile, se ci sia una relazione con la costante crescita delle donne laureate, che già da un ventennio sorpassano periodicamente gli uomini (nel 2021 sono 1.021 le donne residenti in provincia di Rimini laureate e 765 gli uomini). Il maggiore tasso di occupazione delle donne laureate, rispetto a tutte le altre, lo lascerebbe intendere.

Essere maggioranza, tra gli occupati dipendenti, in taluni settori non vuol dire, automaticamente, percepire lo stesso stipendio. Che in media, in provincia di Rimini, considerando tutti i settori, è di 68 euro lordi giornalieri per una donna e 91 euro per un uomo (anno 2021). Siamo ad un 25 per cento in meno. 

Tariffa che moltiplicata per il numero medio delle giornate lavorate, 187 per le donne e 211 per gli uomini, fa uno salario annuale di 13 mila euro scarsi per le donne e 19 mila per gli uomini: un terzo più basso. 

Nel turismo, dove il contributo femminile è maggiore e i salari più bassi, una donna guadagna al giorno 58 euro (dieci meno della media) e un uomo 64 euro. Nell’ipotesi di otto ore giornaliere, ma come è noto spesso sono molto di più, siamo poco sopra i sette euro lordi l’ora. Al di sotto di quello che l’Istat considera lavoro povero (8,41 euro/ora). Non è un caso che lo stesso Istituto statistico nazionale, proprio in relazione al lavoro nel turismo, considera bassi i due terzi dei salari annuali e la metà di quelli settimanali. In questo caso l’introduzione di un salario minimo di 9 euro (12 euro in Germania) sarebbe già un passo avanti.

Inspiegabilmente è nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, cioè nelle prestazioni più qualificate, dove l’avanzata femminile è stata maggiore, che la differenza di stipendio tra donne e uomini tocca il valore più alto: 33 per cento. Non vorremmo si assumessero donne, in sostituzione degli uomini, per poterle pagare meno. Ipotesi non peregrina se a cinque anni dalla laurea, secondo le periodiche indagini di AlmaLaurea, gli uomini guadagnano un quinto più delle donne. Se poi la donna laureata ha un figlio la differenza può superare persino il 30 per cento.

In sintesi, tutto converge, anche in provincia di Rimini, ad una unica conclusione: l’incidenza dei bassi salari tra le donne è molto più alta che tra gli uomini. Se poi sono giovani, anche peggio.