Dal produttore al consumatore anche tredici volte di più

Dai giornali delle ultime settimane abbiamo appreso, era noto ma fa sempre bene ritornarci,  quanta distanza corre tra i prezzi pagati ai produttori e quelli di vendita nella grande distribuzione. Qualche esempio: il latte viene comprato  a 0,45 euro il kg e rivenduto a 1,27 euro;  la lattuga  da 0,32  il kg viene messa in vendita a più di 1,90 euro; le carote da 0,13 euro il kg passano a 1,24 euro (nella nostra lista si può trovare anche per meno); il pane all’origine costa 0,21 euro il kg ma il consumatore lo trova a 2,75 euro il kg;  le arance tarocco al produttore vanno 0,26 euro al kg per essere rivendute a 1,51 euro; le fettine di bovino adulto sono pagate all’allevatore 2,26 euro al kg  per essere messe in vendita a 13,23 euro il kg.   In sostanza dal produttore al consumatore finale i prezzi lievitano da un minimo di tre ad un massimo di tredici volte.  E questi sono solo alcuni esempi di ricarichi che giudicare eccessivi e penalizzanti per i produttori è il minimo che si possa dire.  Accorciare la filiera, dove è possibile, forse è l’unico modo per dare qualcosa di più ai produttori e far spendere meno i consumatori. E’ l’idea che sta alla base dei farm market, cioè i mercati agricoli, già attivati in diversi comuni della provincia e che andrebbero sempre di più incentivati.  Anche perché con i prezzi degli acquisti di maggiore frequenza, come sono tutti gli alimentari, che in un anno sono aumentati, in Italia, più del 4 per cento, c’è poco da largheggiare.

Per fortuna dalla nostra consueta indagine, che questo mese comprende una cinquantina di prodotti, quindi è molto più rappresentativa della spesa di una famiglia media,  emerge, rispetto un semestre fa, un certo rallentamento del costo complessivo. Un segnale che  la grande distribuzione sta cercando di venire incontro alle difficoltà di bilancio di tante famiglie. Anche se sulla distanza di un  anno qualche ritocco all’insù è stato fatto. 

 I prezzi di marzo