Crisi sociale e debiti “pubblici”

Nel convulso  scorrere delle informazioni  c’è sempre il rischio che le notizie fuggano senza lasciare traccia  e il tempo di riflettere per valutarne  l’esatta portata.

Facciamo allora un breve riepilogo delle notizie dell’ultimo mese: l’anno scorso, in un crescendo continuo, si sono rivolte alla Caritas di Rimini più di sette mila persone, di cui un terzo italiani, in rapida crescita e con un preoccupante aumento di giovani ed anziani.

L’aggiornamento dei dati sull’occupazione in provincia ci informa che, solo nell’ultimo anno, sono andati persi altri due mila posti di lavoro, portando la disoccupazione alla cifra record di quindici mila persone, in maggioranza donne

Il debito pubblico nazionale, nonostante le tasse, non smette di aumentare e tra i capitoli delle varie revisioni di spesa governative c’è anche quella sanitaria. Che in Italia, come si leggerà nel dossier interno,  è importante ma non superiore  a alla spesa di altri Paesi sviluppati. Per cui razionalizzare va bene, eliminare sprechi e corruzione pure,  ma mettere in discussione l’universalità dell’accesso alle cure sanitarie, il diritto cioè di tutti, ricchi e poveri,  a curarsi e stare bene, non sarebbe accettabile. Nemmeno in nome dell’austerità. Ricetta, che applicata in dosi massicce e senza bilanciamenti, come sta accadendo in Grecia, oltre a produrre un  salasso dell’economia, sta di fatto scardinato la sanità pubblica, trasformando il diritto alla salute  in un privilegio per pochi abbienti.

La salute è un bene pubblico e non può essere abbandonata al mercato, che tra l’altro offre ricette più care e meno efficienti (si veda l’America). Purtroppo anche in Italia, come a Rimini, a fronte

di una riduzione delle prestazioni sta crescendo la spesa sanitaria pagata di tasca propria dai cittadini. Chi se lo può permettere, ovviamente.

Ora, in questo breve elenco di difficoltà crescenti per migliaia di persone,  non si può proprio dire che costituisca un bel contendere il confronto a distanza tra Carim e Aeradria, la Banca più importante del territorio e la Società di gestione dell’aeroporto, che in questi anni hanno fatto a gara a chi distruggeva più valore invece di crearlo, accumulando debiti, con gestioni quanto meno poco oculate, per un complessivo di circa trecento milioni di euro.

A pagare il conto Carim sono stati gli azionisti, i risparmiatori e il territorio (la Fondazione, per ripianare i debiti, ha dovuto rinunciare a molti investimenti, a cominciare dalle mostre). Quelli di Aeradria, dove Provincia e Comune di Rimini sono azionisti di maggioranza, presumibilmente  dovranno essere i contribuenti locali. Se non arriverà un compratore esterno.  Sottrazione di risorse preziose agli investimenti sociali e produttivi, in un momento  in cui ci sarebbe stato bisogno del’esatto contrario.