Coworker a Rimini

di Mirco Paganelli

Non è solo una moda passeggera. Il coworking – l’ufficio riunito di liberi professionisti e giovani imprese – presenta un tasso di crescita in tutti e cinque i continenti. Il magazine online Deskmag, che monitora il settore, ha contato 2.500 spazi presenti in tutto il mondo nel 2013, ospitanti 110.000 lavoratori: un’apertura media di 4,5 sedi al giorno. Sta cambiando il modo di fare business seguendo il principio della condivisione; non solo online, ma anche sul posto di lavoro. Il Ministero del lavoro U.S.A. prevede per il 2020 una forza lavoro composta per il 40% da liberi professionisti, freelancer e auto-imprenditori. La generale precarizzazione del lavoro e la crescente concorrenza fra laureati ha favorito il ri-arrangiarsi delle professioni su parametri di flessibilità ed inventiva. Come si suol dire, la crisi ingegna.

Il coworking permette di “fare rete” tra professionisti di discipline analoghe, differenti o complementari. Dà la possibilità di condividere esperienze, assistere l’operato degli altri e apprendere dal loro modello di crescita. Contemporaneamente vi sono i vantaggi pratici: usare gli stessi spazi consente di abbattere i costi di servizi, manutenzione e di diminuire gli sprechi. In un coworking space non ci sono capi né gerarchie; ogni entità si auto-dirige ed eventualmente collabora con gli altri. Brodo di giuggiole per gli startupper: risparmio, informalità e continui stimoli.
“La parola d’ordine è contaminazione – spiega Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup-. I coworking sono luoghi fertili quando la logica dell’affitto sfocia nella mescolanza tra i soggetti ospitati che possono eventualmente svolgere attività congiunte. Tali spazi assurgono a punti di riferimento per il territorio. Nel tempo, molti spazi si sono specializzati nello sviluppo di startup attraverso l’organizzazione di eventi formativi e di networking”.

A tale proposito Italia Startup ha realizzato nel 2013 per il Ministero dello Sviluppo Economico una mappatura dei coworking italiani focalizzati nella crescita di imprese innovative. Se ne calcolano 39 al Nord, 21 al Centro, 9 al Sud. Nessuno a Rimini; i più vicini sono a Pesaro, Cesena e Bologna. Eppure secondo Barilli, Rimini presenta due elementi fondamentali. “L’università e la vivacità industriale permettono a questi luoghi di entrare nel territorio e diventare serbatoi di risorse umane sia in entrata che in uscita. In entrata perché molti neolaureati che non trovano lavoro ottengono qui un mezzo per sviluppare le proprie competenze (ecco perché questi spazi vanno molto nelle città con forti realtà accademiche). L’exit riguarda l’industria consolidata. Profili brillanti, individuali o startup, possono emergere ed essere notati ed accolti dal mondo imprenditoriale. Cesena, ad esempio, con Cesenalab ha saputo darsi un luogo a stretto contatto con le imprese del territorio”.

L’identikit del coworker. Secondo un sondaggio internazionale i coworker hanno in genere tra i 25 e i 39 anni. Due terzi sono uomini e 4 su 5 hanno una laurea. Solo il 15% appartiene a un team fisso. Gli altri o sono indipendenti o lavorano in team variabili. I principali campi professionali sono nuovi media, graphic/web design e consulenze. Un terzo dei coworker si sposta spesso in altre città per lavoro.

La situazione riminese: Spazio 26 e Cooweb

Per capire come il coworking si declina a Rimini abbiamo incontrato Daniel Carnevale, Siddharta Mancini e Matteo di Grazia, due fotografi e un video-maker, ciascuno con la propria attività indipendente. Hanno dai 26 ai 32 anni e di recente hanno affittato 100 mq in zona centro studi trasformandolo nello Spazio 26. Ora sono in cerca di altri coworker, preferibilmente graphic o web designer. “Cercavamo un’esperienza più completa della semplice condivisione di spese – spiegano dalle poltrone della zona relax -. Pensiamo a questo luogo come uno spazio aperto dove organizzare mostre, eventi e workshop per essere attivi nell’ambito culturale ed artistico locale”. Unire le forze serve anche a dare maggiore credibilità al lavoro individuale di ciascuno agli occhi dei clienti, che “vedono alle nostre spalle una realtà simile ad un’azienda”. “Lavorare da casa è limitante. Qui abbiamo la possibilità di condividere idee da cui possono partire anche delle collaborazioni”. Si sentono più simili ad “una casa che accoglie persone” che ad un’azienda; sembra quasi un’evoluzione del garage come laboratorio di amici. Lo spazio annesso per il foto-shooting gli conferisce una dimensione artigianale. Il prossimo passo? Forse una startup: “Ci serve ancora crescere e trovare una figura professionale che ci completi. Ci piacerebbe fornire un servizio di communication a tutto tondo”. Hanno corso il rischio ed ora ci stanno con le spese. Gli introiti sono individuali e non sempre continuativi, per cui nei mesi più duri ci si aiuta: più che una condivisione, un matrimonio di creativi. Perché ancora pochi coworker tra i riminesi? “C’è un problema culturale: i liberi professionisti tendono ad essere individualisti e vedono gli altri come concorrenti. Alcuni ci hanno persino chiesto: come fate a non sottrarvi clienti a vicenda?, non pensando che se si mettono insieme le forze, si impara gli uni dagli altri e si amplia il bacino di clienti”.

Come si apre un coworking?

Non c’è un unico modello. Le realtà più grandi partono da venture capital, grossi investitori che aprono spazi per startupper solitamente dello stesso settore. Poi ci sono quelle aziende che si ritrovano con dello spazio libero, o che ne acquisiscono apposta per ospitare coworker. In ultimo, ci sono liberi professionisti indipendenti che decidono di riunirsi in un unico spazio affittando postazioni di risulta ad altri. A quest’ultima categoria appartengono Federico Fetto, Marco Togni e Andrea Antonini che hanno da poco aperto lo spazio Cooweb a Rimini sud. “Il progetto è stato interamente realizzato e finanziato dai tre ragazzi riminesi che hanno fondato una srls, azienda a responsabilità limitata, già riconosciuta come startup innovativa”, spiegano i fondatori. Obiettivo? Creare un polo di professionisti del web e del turismo per favorire lo sviluppo di startup. Porte aperte a grafici, pubblicitari, informatici, esperti di marketing, traduttori, avvocati specializzati in nuove tecnologie, giornalisti, fotografi, copywriters e chiunque possa dare un contributo al progetto. “C’è un gran bel buco legislativo sul coworking – denuncia Fetto -. Con il supporto del commercialista abbiamo deciso di registrarci come ‘srl semplificata’ il cui business non deriva dagli affitti. Agli utilizzatori rilasciamo un contratto per ogni tipo di servizio (scrivania, sala riunioni…)”. Le principali problematiche nell’apertura? Risorse economiche e tempo per la ristrutturazione. Tutti passi giudicati “fattibili”.

“Non aspettate l’amministrazione pubblica!”

A dirlo è Francesca Lambertini di Work in progress, il coworking space di Bam! Strategie culturali di Bologna. “Se il coworking è la vostra strada organizzatevi da soli!” afferma Lambertini. Lei che lavora anche a Rimini consiglia alla città di aprirsi e strutturarsi maggiormente: “Vedo un gran fermento di idee, ma meno organizzazione e concretizzazione. Occorre convogliare tutte queste persone propositive. Non serve l’avvallo del Comune per farlo, anzi, muoversi da soli è più snello ed è una spesa che si ammortizza piuttosto presto”. E prosegue: “Il coworking non è normato, ognuno si organizza come può. Noi siamo una cooperativa ed intestiamo le postazioni con un contratto per servizi complessi che prevede un periodo minimo di permanenza ed un preavviso di disdetta entrambi di 3 mesi”, a differenza di altri spazi che offrono abbonamenti giornalieri, settimanali o mensili. “Non lo facciamo per profitto, ma solo per abbattere i costi”, spiega Lambertini. La tariffa mensile per una postazione è di 180 euro, molto meno di altri grandi centri. Nel loro, sono presenti anche una sala riunione ad ore, sale per workshop, focus group e relax. Si occupano di progettazione creativa e sistemi di fruizione culturale e le persone intercettate fanno parte in genere di questo settore. “C’è chi ospita professionalità affini in maniera più marcata, ad esempio nel campo del social innovation. È facile che in questi casi si creino dei veri e propri cluster tematici”.

Se la condivisione diventa virale

Diversa è l’esperienza di Cowo, una rete di 90 coworking diffusi in tutta Italia che raccoglie chiunque abbia un ufficio con qualche scrivania libera. È il caso della società di consulenza web cesenate Ideato di Francesco Fullone: “Non solo ci siamo affiliati a Cowo, ma abbiamo anche compartecipato alla creazione di un coworking ad Ancona dato che lì abbiamo dei dipendenti: invece di farli lavorare da casa abbiamo deciso di dotarli di uno spazio dove riunirsi”. Non solo: “Abbiamo un altro dipendente a Parma e, quando lo raggiungo, prendiamo in affitto una scrivania. Lo stesso mi capita quando devo incontrare dei clienti a Milano… è come avere un ufficio in ogni città”. Il coworking, dunque, può essere contagioso, virale. Connette luoghi e persone lontani. È un binario di scrivanie in viaggio: professionalità in movimento. “Il vantaggio di essere affiliato a Cowo – prosegue – è che, a fronte di un fee annuale, loro provvedono a tutta la parte amministrativa e burocratica, fornendo assistenza legale e i contratti di sublocazione da utilizzare, oltre a pubblicizzarci sul loro network. Gli affiliati, ad esempio, possono fare scambio di postazione”. Anche Ideato preferisce ospitare professionalità affini, “perché aiutano a fare rete. Una volta al mese facciamo anche un evento dove invitiamo le aziende romagnole”. Un coworking lo si apre soprattutto perché si ritiene cruciale lavorare fianco a fianco: “Per realtà piccole come la nostra (due postazioni date in affitto) quando arrivi al pareggio dei costi è già tanto – rivela Fullone -. Lo facciamo per il valore dell’esperienza: il coworking ci permette di avere professionisti con cui si stabilisce fiducia. È una modalità di lavoro più strutturata dello studio associato: una sua evoluzione a favore della flessibilità professionale”.

Un guadagno senza costi

Tirando le somme, i coworking si presentano come delle cooperative per la maturazione sociale e culturale dell’individuo, oltre che per lo sviluppo dell’attività imprenditoriale. Una nuova filosofia del lavoro: non più la serialità degli uffici e la separazione tra le aziende, ma aggregazione e serenità. Se solitamente lavoro e socialità sono due fasi scisse, il coworking permette a queste due pratiche umane di compenetrarsi a giovamento l’una dell’altra. Un sondaggio internazionale del 2012 rivela che non solo il coworking aumenta la produttività del lavoratore, ma anche la sua felicità. Egli non esegue solo un dovere, ma lo fa con maggiore piacere. Con il coworking si diventa autonomi, ma insieme. Esso, in definitiva, visto da una prospettiva più ampia, rappresenta un’occasione di crescita economica per tutto il territorio; un terreno fertile per le startup e gli impieghi del domani. Il tutto senza costi per la città.