Competere vuol dire innovare

Quando le crisi perdurano e la pesantezza aumenta, per le imprese come per il lavoro, non è raro ascoltare ricette semplificatrici che dovrebbero risolvere, come un tocco di  bacchetta magica, un bel po’ di problemi. Una di queste è la fuoriuscita (dell’Italia) dall’euro e il ritorno alla lira, pesantemente svalutata (per restare in tema, chiediamoci anche, come mai in America nessuno Stato chiede di abbandonare il dollaro). La svalutazione, ce lo ricordiamo, era molto utilizzata prima dell’introduzione dell’euro e serviva ad abbassare il prezzo dei nostri prodotti  quando venivano acquistati con le altre monete. Semplificando, il sistema funziona così: se per comprare, per esempio in  America, un euro di merce nazionale adesso ci vuole circa un dollaro e trenta centesimi, potendo svalutare, portando magari il cambio dello stesso euro a novanta centesimi di dollaro, al consumatore americano lo stesso bene o servizio costerà di meno, quindi ne comprerà di più. Un po’ è vero,  ma questo ragionamento contiene almeno due limiti: a. bisogna avere dei prodotti o servizi da vendere e che gli altri siano disposti a comprare; b. una competizione basata soprattutto sul prezzo, in una economia globale, troverà sempre qualcuno (un paese emergente dove i salari sono bassi, ecc.)  disposto ad offrirli per meno. Non è quindi, la competizione che punta quasi esclusivamente sul prezzo,  molto lungimirante, senza considerare  il rischio di essere perfino autodistruttiva.  Gli imprenditori più avveduti lo sanno, infatti si tengono ben lontani dall’ intraprendere guerre dei prezzi e preferiscono puntare di più sull’innovazione e la creatività.

Tanto è così che in un recente incontro, un imprenditore che punta molto all’esportazione, senza mai fare menzione del fattore euro come ostacolo, giustamente  sottolineava che la Germania esporta molto non perché i suoi prodotti costano meno,  bensì perché ritenuti affidabili e di qualità.  E per i quali chiede un giusto prezzo, che i compratori di tutto il mondo  sono disposti a pagare.

L’innovazione, che vuol dire ricerca, collaborazione con le Università, creatività, design, impiego di alte professionalità, formazione del personale, giuste remunerazioni, anticipazione delle future domande ancora inespresse  (chi avrebbe domandato  un computer, un iPad o un iPhone prima della loro presentazione al pubblico, che evidentemente lo stava “attendendo” visto il successo ottenuto e non certo a basso prezzo), qualità, affidabilità, servizi di accompagnamento, sono i veri fattori della competitività.

Un recente studio sulla manifattura inglese (The Government Office of Science, The Future of Manufacturing, 2013)  è arrivato alla conclusione che il quaranta per cento del valore finale dei suoi prodotti in realtà sono servizi incorporati (erano il 24 per cento nel 2007, cioè prima dello scoppio della crisi), quando in Norvegia, Finlandia e USA hanno già oltrepassato la soglia del cinquanta per cento.  Nello stesso studio, dopo avere elencato le cinque tecnologie pervasive che influenzeranno, secondo gli autori, il prossimo futuro della manifattura (ICT, sensori, nuovi materiali, biotecnologie e tecnologie verdi),  si sostiene anche che i consumatori sono disponibili a pagare fino al dieci per cento in più per avere prodotti sempre più personalizzati.

Queste imprese, capaci di accettare le sfide del futuro e di competere sui mercati di tutto il mondo, compreso la Germania, esistono anche in provincia di Rimini. Eccellenze, soprattutto manifatturiere, spesso nascoste e un po’ dimenticate, ma che stanno svolgendo una funzione di guida e di tenuta del tessuto produttivo locale fondamentale.   Il loro lavoro andrebbe compreso prima e sostenuto poi, con una vicinanza che tuttora manca da parte delle Istituzioni, ma spesso anche da parte delle stesse Associazioni delegate a rappresentarle.